Corso per la preparazione dei praticanti avvocati all’esame di abilitazione 2012

Avevamo già segnalato in questo precedente articolo l’importanza di giungere all’esame di abilitazione alla professione forense con una valida preparazione teroico-pratica.

Nel ribadire tutti i consigli e le considerazioni a suo tempo effettuate, ci piace segnalare il corso per la preparazione agli esami di avvocato in cui l’Avv. Valerio Sangiovanni – prezioso collaboratore di inDiritto – è uno dei due docenti, insieme all’Avv. Francesco Carlo Milanesi.

Essenzialmente il corso ha un carattere pratico, come è giusto che sia – infatti la preparazione teorica è normale che ciascun candidato la curi personalemte – e prevede l’insegnamento della tecnica redazionale di pareri ed atti, nonché concrete esercitazioni.

Detto corso si terrà a Milano nelle date del 19 e 26 settembre; 3, 10, 17, 24 e 31 ottobre; 7, 14, 21 e 28 novembre 2012 (tutti i mercoledì sera dalle 19.00 alle 21.00) presso Aula Pastori – Sede Cidis Via S. Sofia 9, MM Crocetta. Per qualunque informazione e per le iscrizioni è possibile omviare una email all’indirizzo valerio.sangiovanni@libero.it(oppure telefonare al 349 / 64 65 142.

Di seguito, e per ulteriori informazioni, è possibile scaricare la locandina del corso.

Locandina corso avvocati 2012

Pubblicità

Rimborso del prestito obbligazionario e conflitto tra obbligazionisti

Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore Avv. Valerio Sangiovanni e dell’editore Giuffrè, questa completa ed accurata analisi che, come si evince dal titolo del presente articolo, tratta del Rimborso del prestito obbligazionario e delle successive dinamiche attinenti al possibile conflitto tra gli obbligazionisti.

L’analisi trae spunto dalla sentenza del TRIBUNALE DI MANTOVA – 15 NOVEMBRE 2010 (ORD.) – G.U. DE SIMONE L.A. C. RAPPRESENTANTE COMUNE DEGLI OBBLIGAZIONISTI DI C. S.P.A. E C. S.P.A.
La nomina del rappresentante comune degli obbligazionisti non è prevista dall’art. 2417 c.c. come indispensabile per il funzionamento dell’assemblea degli obbligazionisti, ma è rimessa alla discrezionalità degli obbligazionisti, che possono nominarlo in qualsiasi momento o chiederne la nomina al presidente del tribunale. L’assenza del rappresentante comune non comporta necessariamente una non adeguata informativa dell’assemblea degli obbligazionisti e un’insufficiente tutela dell’interesse comune degli obbligazionisti, in quanto l’informativa può essere esercitata comunque direttamente dagli obbligazionisti medesimi.
Il Tribunale di Mantova si occupa del possibile conflitto, emerso in sede di assemblea degli obbligazionisti, fra gli obbligazionisti che vogliono il rimborso del prestito alla scadenza originariamente prevista e quelli che intendono invece prorogarlo. La fattispecie trattata dal Tribunale mantovano evidenzia tutta la rilevanza del contrasto fra due gruppi di soggetti portatori di interessi contrastanti: gli uni desiderosi di rientrare immediatamente nella disponibilità dei fondi dati alla società, gli altri preoccupati di assicurare la continuazione dell’attività sociale. La soluzione del Tribunale di Mantova è in favore degli obbligazionisti di maggioranza e dell’interesse sociale, non essendosi realizzata — nell’iter decisionale degli obbligazionisti — alcuna violazione di legge e dovendo dunque prevalere il principio maggioritario.

Nell’articolo che segue l’Avv. Sangiovanni ha trattato i seguenti temi:
1. L’emissione di obbligazioni societarie e gli articolati interessi in gioco.
2. L’assemblea degli obbligazionisti e la proroga del prestito.
3. La possibile impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea degli obbligazionisti.
4. L’irrilevanza della mancata nomina del rappresentante comune degli obbligazionisti.
5. L’informazione degli obbligazionisti.

Ringraziando ancora una volta l’Avv. Sangiovanni e la Giuffrè, vi auguriamo buona lettura.

Rimborso Prestito Obbligazionario (Giur Mer 2011)http://www.scribd.com/embeds/75212009/content?start_page=1&view_mode=list&access_key=key-2l51d2f8lofqibcpvxgo(function() { var scribd = document.createElement(“script”); scribd.type = “text/javascript”; scribd.async = true; scribd.src = “http://www.scribd.com/javascripts/embed_code/inject.js”; var s = document.getElementsByTagName(“script”)[0]; s.parentNode.insertBefore(scribd, s); })();

I primi dati statistici sulla mediazione civile

La fonte è il Ministero della Giustizia, i dati sono relativi al periodo 21 marzo – 30 settembre, in pratica poco più di sei mesi nei quali è stato applicato l’istituto della mediazione (o mediaconciliazione come è stata battezzata da più parti).

  • 33.808 i procedimenti iscritti.
  • 19.388 quelli definiti, nel senso che l’iter procedimentale previsto della mediazione si è concluso (a prescindere dal risultato).
  • Su tali 19.388 procedimenti definiti, nel 69,38% (ovvero circa 13.451) la mediazione non è cioè andata a buon fine in quanto una della parti non si è presentata.
  • Su tali 19.388 procedimenti definiti, nel 30,62% dei casi (ovvero circa 5.936) le parti si sono presentate.
  • Su questo 30,62% di casi in cui la parte si è presentata (come detto circa 5.936 casi) il 52% è andato a buon fine (ovvero 3.086 casi circa).

Per cui su 33.808 procedimenti, quelli che hanno visto un successo dell’istituto sono stati 3.086 (circa il 9%).

Dati piuttosto impietosi.
Sarebbe interessante conoscere anche il giro di affari che si è creato attorno alle società e gli enti che gestiscono la mediazione comparato con il risparmio sui procedimenti che, loro malgrado, dovranno proseguire con il realtivo giudizio di merito.

Nel marzo 2012 (è fallito l’introduzione per il gennaio 2012) dovrebero entrare anche le altre due grosse materie: condominio e risarcimento danni da incidente stradale.

Teniamo a mente che la Corte Costituzionale e la Corte di Giustizia Europea (la causa relativa è stata introdotta la scorsa settimana) dovranno pronunciarsi sulla legittimità della mediazione così come introdotta nel nostro Paese.

(foto By julesreyes)

 

La Camera Civile di Palermo. Incontro studio sulla tutela dell'Incapace Interdizione, Inabilitazione, Amministrazione di Sostegno.

La Camera Civile di Palermo, aderente all’Unione Nazionale delle Camere Civili, ha inaugurato il proprio sito istituzionale, dove verranno pubblicati articoli, news, e comunicati rivolti non solo alla classe forense ed agli operatori di giustizia, ma – secondo lo spirito che anima la Camera Civile – anche a beneficio dell’intera società civile.

Nella qualità di Segretario della Camera Civile di Palermo, in accordo con il neo Presidente Avv. Pietro Manzella, abbiamo voluto dare una impronta dinamica al sito della Camera Civile, facile da consultare e da utilizzare anche come un vero e proprio strumento professionale.

A tal riguardo tengo veramente a ringraziare Andrea Borruso, che ha curato con generosità, amicizia e passione tutte le fasi di realizzazione del sito, che prossimamente sarà ulteriormente implementato.

Vogliamo, inoltre, segnalare che il 18 ottobre 2011, alle ore 15:00, presso l’AUDITORIUM C.E.I.- Gonzaga,
a Palermo Via Pier Santi Mattarella n. 38, si terrà l’incontro di studio organizzato proprio dalla Camera Civile di Palermo – per il quale il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo riconoscerà n. 3 crediti formativi – sul tema:

TUTELA DELL’INCAPACE
Interdizione, Inabilitazione, Amministrazione di Sostegno

Per iscriversi all’evento è possibile effettuare la registrazione online presso il SITO compilando l’apposita scheda.

La tematica, di particolare attualità, è per altro stata oggetto di due lettere aperte del Presidente della Camera Civile Avv. Pietro Manzella.
La prima, inviata al Direttore Provinciale dell’INPS di Palermo, volta a sollecitare l’istituzione di un apposito sportello al fine di facilitare, semplificare e migliorare l’attività svolta dai Tutori, Amministratori di Sostegno e Curatori sotto l’egida dell’Ufficio del Giudice Tutelare.
La seconda, inviata al Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, volta a denunziare il verificarsi di gravi anomalie poste in essere da alcuni reparti dei relativi uffici.

Questo il programma dell’incontro:

Programma:

Saluti: Avv. Pietro Manzella (Presidente C.C. Palermo)

Relatori:

1) PROFILI ISTITUZIONALI: Prof. Avv. Gianfranco Amenta (Titolare Cattedra Istituto Diritto Privato Facoltà di Scienze Politiche Università di Palermo);

2) Il progetto individuale per la salute mentale: Dr.ssa Paola Cantelmo (Sociologa – Comune di Palermo U.O.S.M.)

3) Le norme applicabili all’a.d.s.: Dott. Roberto Conti (Giudice Tutelare del Tribunale di Palermo)

4) CASISTICA: Avv. Francesco Pantaleone (Consigliere dell’Ordine degli Avvocati Palermo).

Nell’ideazione e nella realizzazione degli incontri studi organizzati dalla Camera Civile di Palermo si è cercato di dare agli stessi una impronta  pratica, in modo tale che le tematiche trattate possano essere di reale ausilio al professionista nella sua quotidiana attività professionale.

Al detto incontro parteciperà anche il sottoscritto, in qualità di uditore, spero di incontrarvi numerosi.

 

Contributo Unificato 2011: i nuovi importi come modificati dal DECRETO LEGGE 98/2011

Questa mattina gli uffici di iscrizione a ruolo, qui a Palermo, sono andati in tilt.
Nessuno, non gli operatori, non gli avvocati, non i responsabili, né tanto meno i magistrati preposti, erano a conoscenza delle caratteristiche delle modifiche introdotte con il Decreto Legge 06/07/2011 nr. 98: “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” (GU n. 155 del 6-7-2011 ) entrato in vigore, a quanto pare, proprio il 06/07/2011.

In pratica in un giorno, senza alcun preavviso, senza nessuna comunicazione, neanche reperibile presso il sito del Ministero della Giustizia, sono stati modificati con un aumento che va dal 10% al 20% tutti gli importi relativi al contributo unificato da versare per l’iscrizione delle cause a ruolo.

Non vogliamo entrare nel merito degli aumenti che sembrerebbero inevitabili considerato l’attuale congiuntura economica, ma certamente le modalità con cui è entrato in vigore il detto D.L. lasciano veramente a che dire.

Tutti gli uffici del Tribunale di Palermo avevano ricevuto questa mattina, a quanto pare, delle sommarie e superficiali informazioni, non abbastanza chiare per consentire di iscrivere a ruolo tutte quelle cause portate per la relativa iscrizione. Cause nelle quali – ovviamente – il contributo era stato già versato dai relativi patrocinatori prima di porcedere alla relativa iscrizione.
Per cui si è generato un vero e proprio fermo delle iscrizioni, fra le proteste degli avvocati i quali, sia davanti al Giudice di pace, sia innanzi al Tribunale avevano la necessità di iscrivere la causa a ruolo (l’opposizione, etc.) pena la decadenza ed estinzione del giudizio.

Lacio alla vostra più fervida immaginazione lo stato di caos e di panico in cui versavano i relativi uffici.

Sino alle ore 13.00 di oggi non sono riuscito a trovare alcuna notizia in rete.

Solo da poco, sul sito dell’Ordine degli Avvocati Milano è comparsa questa utile pagina relativa al famigerato D.L. ivi compreso un utile pdf nel qual sono indicate le disposizioni relative al contributo unificato modificate.

Elenco delle modifiche introdotte al contributo unificato e relative tabelle:

Ordine degli Avvocati di Milano nuove disposizioni sul contributo unificato.

Elenco delle modifiche sul contributo unificato.

Le nuove disposizioni – è bene sottolinearlo – non si limitano ad aumentare il contributo unificato, bensì introducono l’obbligo del versamento in materia precedentemente esenti:

  • processi per controversie di previdenza ed assistenza obbligatorie,
  • controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego (con alcune precisazioni),
  • il processo esecutivo per consegna e rilascio,

ed altri che si riserviamo di analizzare specificatamente stante l’entità delle modifiche.

Ricordiamo inoltre, che sono stati previsti tutta una serie di adempimenti (pena l’aumento del contributo unificato sino al 50% di quello versato), come la necessaria indicazione dell’indirizzo di PEC ed il numero di fax all’interno dell’atto da iscrivere a ruolo (Art. 37 comma VI nr. 2 lett. q).

Che dire, siamo davvero senza parole: non si può non rimanere davvero basiti innanzi a tali metodologie operative.

Di seguito segnaliamo i nuovi importi con l’avvertenza che:

La notte della rete contro la delibera 668/2010 dell'AGCOM

Anche inDiritto intende aderire all’iniziativa promosso contro la delibera 668/2010 dell’AgCom.
Senza voler trascurare le rilevanti problematiche inerenti il diritto di autore, come parte integrante della persona e del diritto di espressione, e pertanto la doverosa tutela dello stesso nell’era di internet, non possiamo esimerci dal constatare il fatto che, proprio in relazione a tali valori, non può essere accettato né il principio, né il modus operandi della detta delibera che, lungi dal tutelare veramente il diritto di autore, mina seriamente, dal punto di vista sostanziale e dal punto di vista formale, i diritti inviolabili dell’individuo.

Di seguito, per chi volesse farsi una idea sulla questione, vi segnaliamo i seguenti link inerenti le iniziative svolte sul tema e sul contenuto della delibera dell’AgCom:

http://www.ustream.tv/flash/viewer.swfCrediamo che, come in relazione ai dati aperti (opendata), sia necessario ed imprescindibile avviare a livello istituzionale una vera e profonda riflessione sugli obiettivi e sul cammino che la nostra società deve intraprendere per potersi definire come libera e volta al progresso.

In ultimo consentitemi di rivolgere un grazie ad Antonio Falciano (anch’egli membro della redazione di TANTO), che con il suo entusiasmo e la sua abnegazione mi ha spinto a scrivere questo piccolo post che, davvero, non poteva mancare su inDiritto.
Watch it all LIVE on USTREAM

Digitalizzazione della Giustizia… o quasi.

Questo articolo potrà sembrare uno sfogo.

Ed infatti un po’ è così, ma anche, forse, un modo per rendere più umano inDiritto.

Tribunale di Palermo, ore 09,00.

photo by Gabrilu

Devo costituirmi (per i non addetti ai lavori: produrre nel giudizio le difese del mio cliente attraverso il deposito del fascicolo di parte all’interno del fascicolo di causa)  in un procedimento per Accertamento tecnico ed ispezione giudiziale preventiva ex art. 696 c.p.c. (per i non addetti ai lavori: chi ha urgenza di far verificare, prima del giudizio, lo stato di luoghi o la qualità o la condizione di cose può chiedere che sia disposto un accertamento tecnico o un’ispezione giudiziale prima dell’instaurazione di un giudizio). Tale procedimento è Presidenziale (ovvero viene trattato dal Presidente del Tribunale).

Vado, quindi, nella cancelleria del Presidente e chiedo di potermi costituire.

Il cancelliere mi dice subito che sono stato fortunato: il fascicolo della causa in oggetto si trova proprio nella loro cancelleria!

Infatti, in genere, tali fascicoli vengono trattenuti presso l’ufficio delle iscrizioni a ruolo (per i non addetti ai lavori: dove vengono iscritti tutti i procedimenti affinché vengano assegnati ad un giudice per la trattazione).

Mi consegna quindi tutto il fascicolo d’ufficio e mi dice di andare a costituirmi presso l’ufficio delle iscrizioni a ruolo (al piano di sotto).

La mia non è una iscrizione a ruolo, il fascicolo è stato già formato dalla parte ricorrente, io rappresento alcuni dei convenuti (coloro che vengono citati in un giudizio).

Ma non posso costituirmi qui, presso la cancelleria, come accade per tutte le altre cause?”

“No”

“E perché?”

“Perché si fa così”

“Ma, mi scusi, non voglio insistere, ma ormai siete dotati di un pc collegato alla rete, potete farlo voi qui da terminale”

 

 

“Non è possibile e non è compito mio”.

Non polemizzo e vado al piano di sotto alle iscrizioni a ruolo.

Alle 09,30 sono il numero 60.

Ho scritto il mio nome nel turno appeso dietro la porta chiusa (poca trasparenza ma molta privacy).

Molti dei miei colleghi hanno scritto i loro cognomi diverse volte, in diverse parti del suddetto foglio, in modo che, fra una udienza ed un’altra, se dovessero perdere il turno, possono ritentare.

Benché la nota di iscrizione a ruolo (per i non addetti ai lavori: un plico nel quale sono indicati tutti i dati delle parti) sia redatta con in calce i codici a barre, che vengono letti da una penna ottica (credo sia per risparmiare del tempo), alla fine l’addetto deve sempre controllare de visu tutta la documentazione prodotta.

Alle 11,30 ho completato, più o meno, la mia attività d’udienza e cerco, finalmente, di potermi costituire nel detto procedimento.

Ad un certo punto un addetto del tribunale comunica a tutti noi che le c.d. ricerche informatiche si faranno proprio presso la stanza 72: ovvero la stanza delle iscrizioni a ruolo. La nostra stanza.

Per i non addetti ai lavori: le ricerche informatiche sono quelle ricerche sullo stato di determinate pratiche. Tali ricerche non si possono fare on-line dal proprio studio, ma solo in Tribunale, a mezzo di un addetto specificatamente preposto presso la stanza 24, a volte alla stanza 27, altre volte alla stanza 72, per intenderci proprio quella delle iscrizioni a ruolo.

Quindi, con il foglio della lista degli avvocati che si erano prenotati per le ricerche, comincia a chiamare l’appello.

Ovviamente tutti noi eravamo lì per le iscrizioni a ruolo, pertanto eravamo poco interessati all’argomento. Ho fatto tuttavia notare che l’appello avrebbe dovuto farlo presso la stanza solitamente preposta, infatti i miei colleghi dovevano trovarsi proprio lì dove solitamente vengono effettuate tali ricerche.

L’addetto, senza proferire parola, rientra nella stanza e non esce più.

Dopo qualche minuto uno sparuto gruppo di colleghi si avvicina a noi delle iscrizioni a ruolo e ci chiede se, per caso, le famose ricerche informatiche avevano cambiato stanza.

Rispondiamo che sì, in effetti l’addetto aveva letto un elenco e poi era entrato dentro.

Dopo alcuni tumulti esce l’addetto e dice:

Signori, sono solo. Il turno per le ricerche informatiche è a vista (vale a dire: guarda chi hai davanti perché vieni dopo di lui). E poiché devo fare sempre da solo anche le iscrizioni a ruolo da adesso facciamo: 3 iscrizioni ed una ricerca“.

Alle 12,00 circa più o meno, non ricordo, viene il mio turno.

L’attività dell’addetto consiste nel caricare nel sistema i miei dati: nome cognome etc. Faccio presente che il sistema già mi conosce, in quanto esercito, incredibile a dirsi, proprio presso il Tribunale di Palermo.

Dopo un paio di inceppamenti del pc e la confidenza dell’addetto sul fatto che: “Avvocato, io appartengo ad una generazione che non ne vuole sapere di computer“, l’addetto ha completato il suo lavoro con il fascicolo.

A questo punto, sempre l’addetto mi chiede se per cortesia posso andare a far firmare e timbrare il mio fascicolo dal cancelliere (stanza 24).

Solo in questa maniera, infatti, con l’apposizione del depositato da parte del cancelliere vi è l’ufficialità della costituzione.

Non è un mio obbligo. Avrei potuto cordialmente declinare, ma ci tenevo a vedere come andava finire.

Mi reco, quindi, alla stanza 24, aspetto un piccolo turno (due persone grazie a Dio, mi sarei maledetto per la mia curiosità), il cancelliere controlla la documentazione, appone i timbri e mi ritorna il fascicolo.

Alle 13,00 circa vado, quindi, a consegnare il fascicolo presso la cancelleria del Presidente, là dove lo avevo preso alle 09,00.

Non è una storia molto edificante. E’ anche un po’ mortificante per il sottoscritto.

E’ la storia di ogni giorno, la storia di molti avvocati, ma sopratutto di molti praticanti, di molti addetti, di molti cancellieri.

E’ bene sapere di cosa stiamo parlando quando sentiamo parole sulla digitalizzazione della giustizia.

Regione Sicilia: legge 5/2011 sul procedimento amministrativo ed in materia di trasparenza, la semplificazione, l'efficienza, l'informatizzazione della P.A.

Perché si possa parlare di Digitalizzazione della Pubblica Amministrazione è necessario fare un passo in avanti.

Un passo in avanti – si badi bene –  di tipo culturale e non tecnologico.

Solo quando si andrà oltre la tastiera e lo schermo,
solo quando accetteremo il fatto che un pc collegato ad internet non è un qualcosa che facilita il lavoro, ma è, invece, un modo di organizzare il proprio pensiero,
solo quando comprenderemo che, come è stato per le steli, i papiri, la carta, la stampa, la televisione,  con l’avvento di internet il veicolo dei nostri pensieri è fatto dal modo e dalla forma in cui questi sono trasmessi,

solo comprendendo ciò la nostra società  sarà capace di affrontare quelle sfide che inevitabilmente la nostra era ci presenta.

I recenti avvenimenti iniziati in Egitto, Tunisia, Libia, Siria, hanno imposto al mondo una severa riflessione.
Le paure e le tribolazioni di queste popolazioni sono state le nostre, e tutta la società occidentale ha percepito quei sentimenti come un qualcosa che la riguardava intimamente.

Sentire parlare nei media di: Facebook, Twitter, blog, socialnetwork, Google, come di una massa indistinta ed in modo superficiale, distoglie l’attenzione dal vero motore dell’intera rete:

I DATI

Così come i container hanno rivoluzionato il flusso delle merci, Internet ha trasformato il flusso delle informazioni (frase liberamente tratta dalla prefazione di Federico Rampini  al libro”The Box” di Marc Levinson).
I DATI sono informazioni, pensieri, luoghi, notizie, cultura.

Questi DATI per essere produttivi devono essere veicolati in un modo corretto. Così come un buon pensiero necessita di una buona scrittura.

In tal senso la Pubblica Amministrazione deve utilizzare gli strumenti della tecnologia nel modo corretto se vuole essere efficiente.
Poiché la trasparenza è sintomo ed incentivo all’efficienza, allora:

i dati della P.A. devono essere, non solo pubblici e conoscibili,
ma anche veicolati nel modo corretto.

Qual è il modo corretto?
Il modo corretto è quello che preserva il dato, quello che non lo corrompe o lo vizia, quello che non lo altera.
Il dato grezzo ha queste qualità.

Pertanto la P.A. deve fornire dati grezzi per essere trasparente ed efficiente.

Questo è il filo che collega l’OpenGov all’Opendata.

Il tempo vola, è stato quasi 20 anni fa che ho deciso di ripensare il modo in cui usiamo le informazioni il modo in cui lavoriamo insieme, ed ho inventato il Word Wide Web…Tim Berners-Lee on the next Web.

*** ***** ***

Questa premessa alla Legge della regione Sicilia nr. 5/2011 per me è stata necessaria.
Necessaria per poterne comprendere la reale portata, esprimendo sin da subito diverse perplessità.

So perfettamente che criticare è semplice, costruire, proporre, innovare è difficile.
Credo, tuttavia, che una amichevole critica costruttiva possa aiutare a migliorare, ed, in tal senso, con questo spirito devono essere prese le seguenti considerazioni.

In primo luogo si sente decisamente la mancanza sia della definizione, che dell’introduzione del concetto di dati aperti (opendata).

Introdurre l’obbligo di fornire i dati secondo le modalità degli opendata, come detto,  significa rendere l’amministrazione efficiente e trasparente.

Non ci illudiamo: pubblicare il bilancio regionale attraverso uno scalcinato pdf (passatemi il termine)  e sepolto in chissà quale parte di un sito istituzionale non assolve ad alcunché.
Fornire i dati della P.A. in modo non aggregato e linkabile, invece, è reale trasparenza ed innovazione.

Dove vanno a finire le tasse che pago?
La P.A. italiana dovrebbe essere informata a questi standard tecnologici:  Featured Dataset: Italian Regional Public Accounts (tratto da Where does my money go).
Questo per fare un semplie esempio di cosa ci si aspetta dalla digitalizzazione della P.A.

Nelle stanze per così dire Istituzionali, purtroppo, ho l’impressione si sia portati a fare la seguente equazione:

digitalizzazione = pubblicato sul web

Tutto questo è abberrante.

*** ***** ***

Il 23 marzo 2011 è stato approvato dalla regione Sicilia il disegno di legge recante Disposizioni per la trasparenza, la semplificazione, l’efficienza, l’informatizzazione della pubblica amministrazione e l’agevolazione delle iniziative economiche. Disposizioni per il contrasto alla corruzione ed alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Disposizioni per il riordino e la semplificazione della legislazione regionale“.

La Legge Regionale 5/2011 del 5 aprile 2011 apporta modifiche alla legge regionale 10 del 1991 (che aveva recepito in Sicilia la legge nazionale 241 del 1990 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi“).

Avvertiamo subito il lettore che in questo articolo, in ordine alle legge regionale in commento, ci occuperemo soltanto delle norme relative all’informatizzazione della pubblica amministrazione che risultano intimamente collegate a quel processo di trasparenza della P.A., di cui sempre più spesso oggi si discute e che prende il nome di Open Government (opengov).

L’emanazione di tale legge nasce, inoltre, dall’esigenza di adeguare la normativa regionale a quelle nazionale. Ci riferiamo in particolar modo al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, successivamente modificato ed integrato con il famoso decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 235 (Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD) di cui speriamo di parlare in un successivo articolo.

Sono già diverse le regioni che hanno implementato e/o modificato la normativa di settore.
Ricordiamo la Legge Regionale n. 9 del 26-03-2009 della Regione Piemonte (la più attiva nel settore): Norme in materia di pluralismo informatico, sull’adozione e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella pubblica amministrazione; la Legge Regionale n. 11 del 24-05-2004 della Regione Emilia-Romagna: Sviluppo Regionale della Società e dell’Informazione; la Legge Regionale n. 11 del25-07-2006 della Regione Umbria: Norme in materia di pluralismo informatico, sulla adozione e la diffusione del software a sorgente aperto e sulla portabilità dei documenti informatici nell’amministrazione regionale; la Legge Regionale n. 19 DEL 14-11-2008 della Regione Veneto: Norme in materia di pluralismo informatico, diffusione del riuso e adozione di formati per documenti digitali aperti e standard nella società dell’informazione del Veneto.
Ricordiamo, peraltro, che in materia di trasparenza dell’attività amministrativa molte norme risultano inserite in diverse e variegate disposizioni.

Attualmente altre Regioni si apprestano a dotarsi di una normativa specifica. Sul punto vi rimandiamo ad un interessante articolo di Pietro Blu Giandonato: “Puglia, laboratorio anche per l’open source… e l’open data?” che non si limita a fare il punto della situazione, ma che, in modo concreto, sviluppa alcune proposte in ambito legislativo. E ciò in relazione alla materia dei c.d. dati aperti (open data), ovvero quel complesso di dati detenuti, formati o comunque trattati  dalla P.A. (ma non solo), conoscibili da chiunque (dati pubblici, quindi non sottoposti a limitazioni di sorta), dati che, per essere realmente conoscibili e/o utilizzabili devono essere resi disponibili in un formato aperto (ovvero secondo determinati standard, in modo non aggregato, ed in modo riutilizzabile).

Invero la tematica della trasparenza e dell’efficienza della P.A. è intimamente collegata alla gestione dei dati dalla stessa detenuti.
In particolar modo, ad avviso dello scrivente, nella materia in oggetto, bisogna partire dalla seguente normativa:

  • Codice dell’Amministrazione Digitale,
  • Legge 4 GIUGNO 2010, n. 96 (come modificata anche a seguito del D.L. 24 gennaio 2006, n. 36 attuativo della direttiva 2003/98/CE, relativa alla normativa in tema di riutilizzo dei dati)
  • Direttiva 8/2009 (riduzione dei siti web delle pubbliche amministrazioni e per il miglioramento della qualità dei servizi e delle informazioni on-line al cittadino).

Pertanto, al fine di uniformare la normativa italiana con quella europea e per formare una P.A. trasparente ed efficiente sarebbe necessario:

  1. Prevedere un vero e proprio diritto soggettivo al fine di consentire l’accesso ai dati della P.A. Nel CAD viene previsto all’art. 2 comma I: Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali assicurano la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale e si organizzano ed agiscono a tale fine utilizzando con le modalità più appropriate le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ne parleremo oltre).
  2. I dati pubblici, costantemente aggiornati, detenuti dalla P.A. devo essere resi disponibili secondo formati standard ed aperti (opendata);
  3. Deve essere consentito il riuso dei dati pubblici detenuti dalla P.A. attraverso apposite licenze. In tal senso penso alla IODL (Italian Open Data License v1.0, redatta sostanzialmente sul modello delle licenze CC) la quale, fra l’altro, prevede: “Tu puoi esercitare i diritti concessi con la presente licenza in modo libero e gratuito, anche qualora la finalità da Te perseguita sia di tipo commerciale“.

In ordine alle licenze di utilizzo dei dati così forniti dalla P.A., a mio avviso, si potrebbe anche prevedere la possibilità di modulare la licenza a seconda delle specifiche qualità del soggetto che richiede il riuso.
Mi spiego meglio: posto che i dati pubblici della P.A. devono essere resi disponibili a tutti secondo formati aperti, si possono, eventualmente, apportare delle modifiche alla licenza di utilizzo a secondo dello scopo (commerciale o meno).
In tal senso ho sempre trovato suggestiva l’idea di creare dei meccanismi simili a quelli  dell’Appstore, o dell’Android Market (o quant’altro).

Sinteticamente, posta una banca dati della P.A., laddove l’accesso e l’utilizzo di questi viene effettuato per fini scientifici o non commerciali, allora il riuso deve essere gratuito.
Dove, invece,  viene fatto un uso commerciale dei dati, può (e non deve) essere previsto un utilizzo a pagamento attraverso un sistema modulare (personalmente penserei a qualcosa di simile alle provvigioni).
In questa maniera si garantirebbe:

  • il diritto del cittadino di accedere ai dati;
  • l’utilizzo dei dati in modo gratuito ed a beneficio della collettività per coloro che intendono effettuare studi, ricerche e quant’altro;
  • per l’utilizzo dei dati a pagamento e per fini commerciali, il modello delineato metterebbe le varie imprese, dalle più piccole alle più grandi, in condizioni di reale competizione (non secondo la capacità finanziaria dell’impresa, bensì secondo il merito del servizio offerto).

Si tratterebbe, quindi, di studiare apposite soluzioni tecniche e giuridiche relative all’utilizzo dei dati.
Inoltre, elemento assolutamente necessario è l’introduzione per via normativa dell’obbligo per  la Pubblica Amministrazione, nella predisposizione dei bandi di gara, di richiedere con apposita clausola contrattuale che il fornitore, il consulente o l’appaltatore del servizio fornisca i dati dallo stesso raccolti, oltre che nelle forme tradizionali, anche in formato digitale e con standard che ne consentano l’elaborazione da parte di elaboratori e la modificabilità da parte della Pubblica Amministrazione.

Infine, inutile dire che sarebbe necessario realizzare una vera e propria conferenza di servizi interdisciplinare, al fine di enucleare le tipologia dei dati da liberare, ed i relativi tempi.

Solo in tale maniera si potrebbe creare un circolo virtuoso: dalla trasparenza e dall’efficienza della P.A., all’innovazione, mettendo in moto un ciclo economico tale per cui: dall’investimento della P.A. volto alla diffusione dei dati si giungerebbe, senza spendere un euro in più, al finanziamento di tutte quelle imprese e/o professionisti che lavorano nei rispettivi settori grazie all’utilizzo dei dati.
Ci piace segnalare, ancora una volta, questo articolo di Andrea Borruso: Dati: pubblici, standard e interconnessi.

Effettuate queste doverose considerazioni, la legge regionale in commento, come detto modificativa della legge inerente il procedimento amministrativo ed il diritto di accesso ai documenti amministrativi, si colloca sul versante molto ampio dell’attività della P.A. nel rapporto con la cittadinanza.

Di seguito, come detto, analizzeremo alcuni articoli.

[note]
Art. 1. Ambito di applicazione e principi generali

1. Il comma 1 dell’articolo 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10 e successive modifiche ed integrazioni, è sostituito dal seguente:
1. L’attività amministrativa della Regione, degli enti, istituti e aziende dipendenti dalla Regione e/o comunque sottoposti a controllo, tutela o vigilanza della medesima, degli enti locali territoriali e/o istituzionali nonché degli enti, istituti e aziende da questi dipendenti o comunque sottoposti a controllo, tutela o vigilanza, persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità, di imparzialità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge, dalle altre disposizioni che disciplinano i singoli procedimenti e dai principi della normativa dell’Unione europea. Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative. I soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei predetti criteri e principi.
[/note]

Abbiamo preso in considerazione questo articolo proprio per la sua funzione applicativa.
Rispetto al previgente comma 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10, la portata della modifica amplia la categoria dei soggetti tenuti al rispetto delle norme in materia di trasparenza ed informatizzazione. Oltre all’esplicito riferimento ai principi Comunitari, l’articolo in questione ricomprende nell’alveo applicativo della presente normativo anche le società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative.

[note]
Art. 3.
Digitalizzazione della Pubblica Amministrazione Regionale

1. L’art. 3 bis della legge regionale 30 aprile 1991 n. 10 e successive modifiche ed integrazioni è così sostituito:
1. La Regione assicura la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione amministrativa in modalità digitale ed a tal fine si organizza ed agisce utilizzando, con le modalità più appropriate, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
2. In attuazione del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e successive modifiche ed integrazioni (Codice per l’amministrazione digitale) l’Assessore regionale per l’Economia predispone il Piano per l’innovazione tecnologica della Regione (PITRE), che è sottoposto, previo parere della Commissione bilancio dell’Assemblea regionale siciliana, all’approvazione della Giunta regionale. Il relativo decreto del Presidente della Regione è emanato entro i successivi trenta giorni e trova applicazione nei confronti dell’amministrazione regionale e di quelle di cui all’art. 1.
3. Il Piano di cui al comma 2 contiene le fasi ed i tempi per la realizzazione degli interventi necessari alla digitalizzazione dell’amministrazione regionale secondo quanto previsto dal Codice per l’amministrazione digitale.
4. Il Piano di cui al comma 2 specifica la quantificazione degli eventuali oneri finanziari a carico dell’amministrazione regionale e le relative fonti di copertura previste dalla legislazione vigente. La mancata indicazione di quanto previsto dal presente comma comporta la nullità di tutte le obbligazioni discendenti dall’attuazione del predetto piano.
5. Al fine di realizzare la digitalizzazione dell’amministrazione regionale, in attuazione delle linee strategiche della Giunta regionale, al coordinamento dei sistemi informativi regionali di cui al comma 5 dell’articolo 6 della legge regionale 11 maggio 1993, n. 15 e successive modifiche ed integrazioni, afferiscono i compiti relativi all’indirizzo e coordinamento strategico dello sviluppo dei sistemi informativi, in modo da assicurare anche la coerenza con gli standard tecnici e organizzativi nazionali.
6. Dalle disposizioni previste dal presente articolo non possono discendere nuovi o maggiori oneri a carico della Regione.

2. Il Piano di cui al comma 2 dell’articolo 3 bis della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10, come sostituito dal comma 1, è predisposto dall’Assessore regionale per l’economia entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.
[/note]

Il primo comma dell’art. 3 bis (come modificato dal comma 1 della legge 5/2011) è pedissequamente tratto dall’art. 2 comma I del CAD il quale recita: Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali assicurano la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale e si organizzano ed agiscono a tale fine utilizzando con le modalità più appropriate le tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Così come per il CAD, la dizione sembrerebbe essere esaustiva, tale da far sorgere in capo alla P.A. un vero e proprio obbligo.
A fronte di tale obbligo per la P.A. la domanda che mi pongo è la seguente: in tali casi il cittadino è titolare di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo?
In sostanza il cittadino ha un autonomo diritto inerente la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale nonché alla corretta organizzazione della P.A.; oppure è titolare di un interesse nei confronti della pubblica amministrazione consistente nella pretesa che tale potere sia esercitato in conformità alla legge.
La distinzione non è di poco conto in quanto nel primo caso il diritto è direttamente azionabile a prescindere dall’interesse individuale.

Il secondo comma dell’art. 3 bis sembrerebbe recepire direttamente Codice per l’amministrazione digitale. In tal senso la Sicilia dai media e dalla stampa è stata salutata come  la prima regione a recepire il CAD.
Sul punto io sarei molto cauto.

In sostanza l’Assessore regionale per l’Economia (attualmente è l’Assessore Gaetano Armao) dovrebbe predisporre il Piano per l’innovazione tecnologica della Regione (PITRE) il quale contiene le fasi ed i tempi per la realizzazione degli interventi necessari alla digitalizzazione dell’amministrazione regionale (comma 3 del presente articolo).
Durante i lavori del seminario su “Il nuovo codice dell’amministrazione digitale: opportunità per i cittadini, adempimenti per le amministrazioni“, tenutosi a Palermo il 10 maggio u.s. ed organizzato da DigitPA è stato chiarito che la funzione del PITRE è quella di trasformare l’attuale sistema organizzativo, applicativo e telematico per il conseguimento della digitalizzazione dell’Amministrazione ed il trattamento dell’informazione amministrativa digitale.

Queste sono le slide sul PITRE che vi invito a sfogliare.

E’ stato previsto che tale piano doveva essere definito entro il 10 giugno 2011, avrebbe dovuto quantificare gli oneri finanziari e le relative fonti di copertura e non avrebbe potuto prevedere nuovi o maggiori oneri a carico della Regione.
Ho provato, invano, a ricercare tale documento nei motori di ricerca. Mi riservo trattare il PITRE in un articolo allorquando riuscirò ad entrare in possesso di tale documento (ovviamente sono ben accette tutte le indicazioni da parte dei lettori di inDiritto).

Così come nel CAD (art. 2-bis: Tutte le disposizioni previste dal presente codice per le pubbliche amministrazioni si applicano, ove possibile tecnicamente e a condizione che non si producano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica ovvero, direttamente o indirettamente, aumenti di costi a carico degli utenti, anche ai soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrativa) anche il comma 6 dell’articolo in questione prevede che al fine di digitalizzare la P.A. non possono discendere nuovi o maggiori oneri a carico della Regione.

Come spesso accade, tale articolo, come quello contenuto nel CAD, se da un lato vieta aumenti di costi a carico degli utenti, anche ai soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrativa, considerati i bilanci dello Stato, delle Regioni e dei Comuni, prevede che non si producano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Riteniamo, tuttavia, che l’uso delle nuove tecnologie e delle risorse (tecniche ed umane) della P.A. non dovrebbero in alcun modo comportare nuovi costi, semmai solo dei benefici.
In tal senso, tale comma, (così come l’art. 57, comma 19, del decreto legislativo 30 dicembre 2010, n. 235 – modificativo del CAD, il quale prevede testualmente “DigitPA e le altre amministrazioni pubbliche interessate provvedono all’attuazione del presente decreto legislativo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”), è esemplificativo delle modalità operative italiane: si proclamano e si pretendono grandi innovazioni a costi zero (salvo poi trovare degli escamotage poco ortodossi se non palesemente illeciti).
E’ inevitabile che l’innovazione abbia un costo iniziale che chiameremo investimento, il quale poi rappresenterà un vantaggio non solo dal punto di vista dell’efficienza, ma anche da quello dell’economicità.

In ultimo appare davvero sibbilina la frase “La mancata indicazione di quanto previsto dal presente comma (ovvero la quantificazione degli eventuali oneri finanziari a carico dell’amministrazione regionale e le relative fonti di copertura previste) comporta la nullità di tutte le obbligazioni discendenti dall’attuazione del predetto piano” contenuta nel comma 4 dell’articolo in commento.

[note]
Art. 12.
Trasparenza e pubblicità degli atti

1. I soggetti di cui all’articolo 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10 e successive modifiche ed integrazioni sono tenuti, nell’utilizzo delle risorse dei Fondi strutturali dell’Unione europea e del Fondo per le aree sottoutilizzate loro assegnate, ad applicare le modalità e le procedure definite dal decreto previsto dall’articolo 14 della legge 18 giugno 2009, n. 69 e successive modifiche ed integrazioni.
2. I soggetti di cui all’articolo 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10 e successive modifiche ed integrazioni si adeguano alle disposizioni di cui agli articoli 21, 23 e 32 della legge 18 giugno 2009, n. 69, relative agli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale.
3. Tutti gli atti della pubblica amministrazione sono pubblici ed assumono valore legale dal momento del loro inserimento nei siti telematici degli enti, a tal fine opportunamente pubblicizzati.
4. Non sono soggetti a pubblicazione gli atti intermedi di un procedimento in corso, la cui conoscenza possa danneggiare le parti.
5. Con decreto del Presidente della Regione, su proposta dell’Assessore regionale per le autonomie locali e la funzione pubblica, sono stabilite le modalità di pubblicazione degli atti previsti dal comma 2 dell’articolo 32 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nonché la data a partire dalla quale per tali atti la pubblicazione effettuata in forma cartacea non ha più effetto di pubblicità legale.
6. I soggetti di cui all’articolo 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10 e successive modifiche ed integrazioni individuano, nei propri siti web, un’area nella quale sono inseriti il bilancio, la spesa per il personale, la ripartizione del fondo in materia di retribuzione accessoria, il peso degli aggregati di spesa sul totale, i curricula dei soggetti esterni alla pubblica amministrazione che abbiano incarichi di consulenza o di direzione di uffici, di servizi o di dipartimenti.
7. I soggetti di cui all’articolo 1 della legge regionale 30 aprile 1991, n. 10 e successive modifiche ed integrazioni, conformandosi a disposizioni regolamentari da emanarsi, previa delibera della Giunta regionale, su proposta dell’Assessore regionale per le autonomie locali e la funzione pubblica, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, hanno l’obbligo di rendere pubblici sui propri siti web, con collegamenti ipertestuali adeguati e con accessibilità diretta dalla pagina iniziale, tutte le unità organizzative comunque denominate con la precisazione analitica delle rispettive competenze. Hanno, altresì, l’obbligo di rendere disponibili, anche attraverso i propri siti web, i moduli ed i formulari necessari alla presentazione delle istanze, delle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà nonché l’elenco della documentazione da presentare o da trasmettere insieme all’istanza, con l’indicazione dei casi in cui si applica la disciplina relativa al silenzio-assenso e alla segnalazione certificata di inizio di attività, precisandone i tempi e gli effetti.
[/note]

Per quanto attiene al secondo comma evidenziamo che:

  • l’art. Art. 21 della legge 18 giugno 2009, n. 69 è titolato: Trasparenza sulle retribuzioni dei dirigenti e sui tassi di assenza e di maggiore presenza del personale;
  • l’art. 23 della legge 18 giugno 2009, n. 69 è titolato: Diffusione delle buone prassi nelle pubbliche amministrazioni e tempi per l’adozione dei provvedimenti o per l’erogazione dei servizi al pubblico;
  • l’art. 32. della legge 18 giugno 2009, n. 69 è titolato: Eliminazione degli sprechi relativi al mantenimento di documenti in forma cartacea. In particolare a far data dal 1º gennaio 2010, gli obblighi di pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati.

In tal senso particolarmente rilevante è il comma 3 dell’articolo in commento il quale prevede che “Tutti gli atti della pubblica amministrazione sono pubblici ed assumono valore legale dal momento del loro inserimento nei siti telematici degli enti, a tal fine opportunamente pubblicizzati“.

a quantificazione degli eventuali oneri finanziari a carico dell’amministrazione regionale e le relative fonti di copertura previste

Uno deve fare quello che deve fare

Il 05 aprile 2011 ASGI Sezione Sicilia e AIGA hanno organizzato l’evento formativo dal titolo: Direttiva Rimpatri e Nuova Disciplina dell’allontanamento forzato degli Stranieri Irregolari.

Sebbene nutro molte riserve sul sistema formazione così come congegnato, e la materia trattata dall’evento non rientra tra quelle in cui il sottoscritto abbia una specifica competenza, ho deiciso di partecipare spinto dalle tematiche sociali e giuridiche trattate.

Sono state tre ore formative (e non solo in senso professionale) molto intense grazie anche ai relatori: Prof. Avv. Fulvio Vassallo Paleologo – Università degli Studi di Palermo; Avv. Lorenzo Trucco del Foro di Torino e Presidente ASGI e l’Avv. Angelo Raneli del Foro di Palermo.

Una delle tantissime contraddizioni messe in rilievo nel detto incontro – specialmente dal Prof. Vassallo – risiedeva nel fatto che nel nostro ordinamento l’extracomunitario irregolare, una volta scoperto, sarà destinato ad essere trattenuto (forse sarebbe meglio dire recluso) presso un Centro di Identificazione ed Espulsione. Se il trattenimento non è possibile è prevista l’emanazione di un ordine di allontanamento la cui violazione è punita con una pena detentiva, addirittura, sino a quattro anni e con l’arresto obbligatorio. L’invito all’allontanamento volontario – senza pena detentiva – rappresenta nel nostro sistema penale è una ipotesi residuale.

Tale disciplina risulta in contrasto con quella Comunitaria il cui procedimento, invece, secondo l’importanza data ai diritti fondamentali dell’individuo, è imperneato sull’invito alla partenza volontaria del soggetto migrante, mentre le misure coercitive sono una extrema ratio.

Nel rapporto tra fonti normative il contrasto come sopra evidenziato va risolto nella non applicazione della normativa interna in favore di quella comunitaria.

Senza volermi addentrare nelle problematiche trattate, non poteva passere inosservata su inDiritto una delle tragedie più gravi che sta vivendo il nostro paese.

E si badi bene: non è quella – seppur grave e straziante – dei tantissimi migranti che approdano e che muoiono sui lidi del nostro bel paese.

La vera tragedia è che sempre di più, in questi giorni, il nostro sistema mi appare come impazzito e vedo un progressivo disfacimento delle istituzioni e delle minimali regole che sottendono il vivere sociale.
Il decadimento della coesione sociale ha progressivamente eroso quella tela di norme (per dirla con Bobbio) che non solo tiene unita una comunità, ma che sopratutto conferisce alla stessa una ragione, un senso, una identità.

Mi preme segnalare, sebbene noto ai professionisti del settore, il sito dell’A.S.G.I., Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, che in modo completo ed appassionato si occupa delle tematiche inerenti le questioni giuridiche connesse all’immigrazione e, fra i diversi scopi istituzionali, ha l’obiettivo di mettere in luce i problemi giuridici che il fenomeno dell’immigrazione straniera pone nell’ordinamento nazionale e in quello internazionale, studiando le soluzioni e formulando le proposte.

(L’immagine è presa da Google Earth – il titolo è tratto dalla risposta di un giovane tunisino alla domanda di un giornalista: Perché, nonostante tutti i pericoli, continui a tentare di arrivare in Italia?).

Mediazione e Conciliazione civile: l'eccezione di incostituzionalità

Abbiamo più volte espresso il nostro pensiero in ordine all’introduzione dell’istituto della c.d. mediaconciliazione.

Abbiamo gia evidenziato, ( anche attraverso l’apposito commento al progetto di decreto legislativo), le problematiche, le incongruenze e la contraddittorietà della nuova disciplina (vedi l’abrogazione dell’obbligatorio tentativo di conciliazione in ambito lavorativo),  che impone, quale presupposto per la procedibilità della domanda, il preventivo ed obbligatorio ricorso ad organismi conciliativi privi di quei sostanziali requisiti di terzietà, imparzialità ed affidabilità.

Pressocché tutte le sigle di categoria (dall’OUA all’Unione Nazionale Camere Civili, dall’AIGA all’ANPA) hanno valutato negativamente l’introduzione della conciliazione obbligatoria e molte sono le iniziative volte all’abbrogazione della nuova disciplina (ricordiamo la Manifestazione indetta a Roma per il 16 marzo p.v. e l’astensione dalle udienze dal 16 al 22 marzo).

In questi mesi ho visto evolversi un vero e proprio ecosistema fatto di corsi per conciliatori, di organismi più o meno qualificati, di affamati professionisti (avvocati, medici, agronomi, etc.), pronti ad aggredire il mercato creato da questa nuova forma di giustizia privata.

Sia ben chiaro, lo scrivente e la grande maggioranza degli avvocati, crede nei valori della conciliazione ai fini della prevenzione di una lite e, quotidianamente nell’attività lavorativa, presta una reale opera di mediazione fra le contrapposte esigenze: da quello familiare a quello obbligazionario, da quello societario a quello condominiale, da quello lavorativo alla responsabilità civile.

Tuttavia, l’introduzione di questa disciplina a nostro avviso, non fa altro che mercificare quei principi di diritto e quelle competenze professionali, introducendo un vero e proprio giro d’affari a spese della collettività.

Siamo ben lontani dai valori e dalle procedure quali il: Collaborative law, Creative problem solving, Holistic justice, Preventive law, Problem solving courts, Procedural justice, Restorative justice, Therapeutic jurisprudence, Transformative mediation, espressi da più di un decennio dal Comprehensive Law Movement quale nuovo approccio al diritto e alla professione legale.

Premesso che l’avvocato risulta legato al cliente dal vincolo del mandato che esprime una ben precisa posizione deontologica, in accordo con il Presidente della Camera Civile di Palermo, Avv. Salvatore Grimaudo, e su iniziativa dell’Unione Nazionale delle Camere Civili, pubblichiamo di seguito l’eccezione di incostituzionalità da allegare al verbale d’udienza, ovvero da inserire nelle note ex art. 183 c.p.c. VI co. primo termine, ovvero ex art. 320 c.p.c.

Nel colloquio che ho avuto proprio oggi con l’Avv. Grimaudo abbiamo convenuto che l’interesse del cliente rimane primario e vincolante per il professionista. Per cui tali note e tali considerazioni devono essere sempre sottoposte al cliente e la strategia processuale deve essere sempre concordata e condivisa.

Riteniamo, tuttavia, che un supino e pavido cedere alle scelte di un legislatore, per così dire, poco attento, non faccia il reale interesse del cittadino.

Di seguito l’eccezione di incostituzionalità.

[note]

Compare l’avv…………….per la parte………………il quale eccepisce l’incostituzionalità dell’art. 5 del d. lgs. 28/10, anche in combinato disposto con l’art. 60 della l. 18 giugno 2009 n. 69, nonché con gli artt. 4 e 16 del DM 10 ottobre 2010 n. 180, per violazione degli artt. 77, 24, 3 e 97 Cost., per le ragioni che si passano ad esporre.
Violazione dell’art. 77 Cost.
V’è, in primo luogo, un eccesso di delega, che, nel caso di specie, si concretizza addirittura in un contrasto tra la legge delega e il decreto legislativo.
Ed infatti, l’art. 60 l. 69/09 disponeva di “prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione”, fosse realizzata “senza precludere l’accesso alla giustizia”.
L’art. 5 del d. lgs. 28/10, al contrario, ha reso in molti casi la mediazione una condizione di procedibilità della domanda, e dunque ha disciplinato il fenomeno oltre i limiti fissati dalla legge delega, ed anzi, e più precisamente, in contrasto con la stessa nella parte in cui, appunto, non voleva che la mediazione precludesse l’accesso alla giustizia.
Ne’, in senso contrario, può argomentarsi che la mediazione di cui all’art. 5 del d. lgs. 28/10 non preclude l’accesso alla giustizia, poiché attivato il procedimento di mediazione e trascorsi i quattro mesi di cui all’art. 6, l’accesso alla giustizia è possibile, e la condizione di procedibilità della domanda è assolta.
Ed infatti, che dopo il procedimento di mediazione la parte possa adire il giudice è circostanza del tutto evidente, e certamente non v’era bisogno che la legge ricordasse una ovvietà del genere, poiché nel nostro sistema è impensabile che, dopo una condizione di procedibilità, non si possa procedere, ovvero non si dia alla parte il diritto della tutela giurisdizionale.
Pertanto, se l’art. 60 della l. 69/09 aveva stabilito che la mediazione doveva darsi “senza precludere l’accesso alla giustizia”, essa, evidentemente, non faceva riferimento alla possibilità della parte di adire il giudice dopo la mediazione, cosa scontata e ovvia, ma faceva riferimento alla necessità che la mediazione non condizionasse il diritto di azione, e quindi non fosse costruita come condizione di procedibilità.
Ne’, sempre in senso contrario, può argomentarsi che il problema non sussiste per la brevità del termine di quattro mesi, cosicché la condizione di procedibilità dell’art. 5 sarebbe compensata dal termine breve fissato nell’art. 6.
Ciò, infatti, non può sostenersi perché il termine breve di quattro mesi era già stato fissato dalla legge delega, e precisamente nella lettera q) dell’art. 60, la quale, al tempo stesso, però, voleva che il procedimento di mediazione si desse comunque senza “precludere l’accesso alla giustizia”.
Dunque, la legge delega voleva sia che il procedimento di mediazione non durasse più di quattro mesi, sia che il procedimento di mediazione non precludesse l’accesso alla giustizia.
L’argomento della brevità del termine non può quindi essere utilizzato per escludere l’eccesso di delega, poiché, al contrario, il d. lgs. 28/10, mantenendo il termine già fissato nella lettera q) dell’art. 60 della l. 69/09, non ha però rispettato la medesima disposizione di legge nella parte in cui escludeva che il procedimento potesse costituire condizione di procedibilità della domanda, ovvero fosse in grado di precludere, per tutta la sua durata, l’accesso al giudice.
Nel rispetto dell’art. 60 della legge delega 69/09 l’obbligatorietà del procedimento di mediazione in tutte le ipotesi dell’art. 5 del d. lgs, 28/10 non poteva dunque darsi. L’art. 5 del d. lgs. 28/10, in contrasto con l’art. 60 della l. 69/09, è pertanto incostituzionale per violazione dell’art. 77 Cost.
Violazione dell’art. 24 Cost.
In secondo luogo si deve prendere atto che la mediazione di cui al d. lgs. 28/10 ha un costo, e lo ha anche nelle ipotesi di mediazione obbligatoria, visto che lo stesso art. 16, 4° comma del DM 10 ottobre 2010 n. 180 espressamente prevede che detto costo “deve essere ridotto di un terzo nelle materie di cui all’art. 5, comma 1, del d. lgs.”.
Si eccepisce, al riguardo, che la mediazione può essere obbligatoria, oppure onerosa, ma non le due cose insieme, poiché se la mediazione, come nel nostro caso, è tanto obbligatoria quanto onerosa, allora è incostituzionale.
Sembra evidente, infatti, che il legislatore possa prevedere la mediazione come scelta libera e cosciente della parte, e in questi casi, quindi, anche prevedere che, chi la scelga, debba pagare il servizio; oppure il legislatore può subordinare l’esercizio della funzione giurisdizionale ad un previo adempimento, se questo è razionale e funzionale ad un miglioramento del servizio giustizia, ed in questo senso, come è avvenuto con l’art. 410 c.p.c., può anche prevedere un tentativo obbligatorio di conciliazione, ma senza costi.
Se viceversa il tentativo obbligatorio di conciliazione ha un costo, e questo costo non è meramente simbolico, come avviene con l’art. 16 DM 180/10, allora, nella sostanza, il sistema subordina l’esercizio della funzione giurisdizionale al pagamento di una somma di denaro.
E poiché il nostro sistema non può subordinare l’accesso al giudice al pagamento di una somma di denaro, la media-conciliazione sta in contrasto con i nostri valori costituzionali, e in violazione dell’art. 24 Cost.
Ciò è detto anche alla luce degli orientamenti che la Corte costituzionale ha già avuto su questi temi.
Sostanzialmente, il legislatore può pretendere denari per la funzione giurisdizionale civile solo se questi sono riconducibili a tributi giudiziari o a cauzioni volte a garantire l’adempimento dell’obbligazione dedotta in giudizio.
In tutti gli altri casi, e fin da Corte costituzionale 29 novembre 1960 n. 67, lo Stato non può pretendere denari per adempiere al suo primo e fondamentale dovere di rendere giustizia.
E l’imposizione del pagamento di una somma di denaro per l’esercizio di un diritto in sede giurisdizionale, quale oggi si realizza con la media-conciliazione in forza del combinato disposto dell’art. 5 d. lgs. 28/10 e art. 16 DM 180/10, si pone pertanto in contrasto con tutti i parametri di costituzionalità per come già definitivi in precedenti decisioni dalla Corte costituzionale, in quanto:
a) si tratta di un esborso che non può essere ricondotto ne’ al tributo giudiziario, ne’ alla cauzione;
b) si tratta di un esborso che non può considerarsi di modestissima, e nemmeno di modesta, entità;
c) si tratta di un esborso che non va allo Stato, bensì ad un organismo, che potrebbe addirittura avere natura privata;
d) e si tratta infine di un esborso che nemmeno può considerarsi “razionalmente collegato alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione”, poiché questi esborsi, di nuovo, sono da rinvenire solo nelle cauzioni e nei tributi giudiziari, non in altre cause di pagamento, e perché un esborso che non va allo Stato ma ad un organismo, anche di natura privata, non può mai avere queste caratteristiche.
Violazione dell’art. 3 Cost.
In terzo luogo la media-conciliazione rompe altresì il trattamento paritario nel processo tra attore e convenuto.
Ciò già avviene con il d. lgs. 28/10, che prevede la condizione di procedibilità ex art. 5 per la domanda principale e non per la domanda riconvenzionale, ma oggi, più gravemente, avviene con l’art. 16 DM 180/10, concernente i criteri di determinazione delle indennità.
Tale disposizione, infatti, divide le indennità del procedimento di mediazione tra “spese di avvio del procedimento” e “spese di mediazione”.
Le “spese di avvio del procedimento” sono dovute da “ciascuna parte” ma sono versate “dall’istante al momento del deposito della domanda” (2° comma) .
Parimenti “le spese di mediazione indicate sono dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento”.
Dunque, il decreto ministeriale espressamente prevede che la parte convenuta possa non aderire al procedimento.
Cosicché, ai sensi dell’art. 3 Cost.: a) o si ritiene che anche l’attore possa non aderire al procedimento, e quindi possa versare la sola spesa di avvio del procedimento ai fini dell’art. 5 del d. lgs. 28/10 con contestuale dichiarazione di non voler avvalersi del servizio; b) oppure il sistema è in violazione del principio d’eguaglianza, consentendo solo alla parte convenuta di non aderire al procedimento, ma non alla parte attrice, che si vedrebbe ob torto collo obbligata al procedimento di mediazione per poter far valere in giudizio un suo diritto.
L’istituto della media-conciliazione di cui all’art. 5 del d. lgs. 28/10, in combinato disposto con l’art. 16 DM 180/10, in questi termini, non viola così solo l’art. 24 Cost. (per essere, al tempo stesso, obbligatoria e onerosa), ma viola anche l’art. 3 Cost., perché pone su piani diversi, e tratta diversamente, la parte attrice rispetto a quella convenuta.
Ne’, contro questo argomento, si può sostenere che la diversità di trattamento dipende dalla diversità delle pretese, perché è l’attore che vuol adire il giudice, non il convenuto.
Un rilievo del genere può esser fatto solo da chi veda nell’attore un rompiscatole da arginare e non la parte che ha subito un torto e chiede giustizia.
Adire il giudice è un diritto costituzionale, e chi intende farlo non deve subire pregiudizi rispetto alle altre parti processuali, che possono essere proprio quelle che hanno causato l’insorgere della lite per una violazione di legge.
Altrimenti il sistema, oltre ad infrangere il trattamento paritario delle parti in giudizio, rischia altresì di compromettere seriamente l’elementare dovere del rispetto delle obbligazioni, con gravi ripercussioni non solo sul diritto, ma anche sull’economia.
Violazione dell’art. 97 Cost.
Un quarto aspetto di incostituzionalità attiene all’organizzazione interna degli organismi di conciliazione, anche per come definiti con l’art. 4 del DM 180/10.
Ed infatti, nel momento in cui la procedura di mediazione è resa obbligatoria al fine di far valere in giudizio un diritto, e nel momento in cui le attività del mediatore interferiscono con l’esercizio della funzione giurisdizionale (i verbali di conciliazione, infatti, costituiscono titolo esecutivo (art. 12, d. lgs. 28/10), le proposte di conciliazione, inoltre, hanno conseguenze sulla liquidazione delle spese del giudizio (art. 13, d. lgs. 28/10) ed, infine, la mancata partecipazione al procedimento di mediazione può rilevare ex art. 116, 2° comma c.p.c. (art. 8, d. lgs. 28/10)), va da sé che il procedimento ha funzione pubblica, e deve pertanto rispondere ai requisiti di buon andamento e di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., soprattutto quando l’organismo è ente pubblico.
Ora, niente di questo si trova nell’art. 4 del DM 180/10, che usa talune espressione elastiche, e fissa blandi criteri di professionalità dei mediatori, ma niente più, senza prescrivere come doverose le condizioni minime di trasparenza, eguaglianza e imparzialità dovute all’esercizio di una funzione pubblica.
In particolare il decreto ministeriale doveva prevedere criteri oggettivi circa l’assegnazione delle pratiche fra i vari mediatori dell’organismo, nonché criteri oggettivi circa il reclutamento degli aspiranti mediatori presso gli organismi costituiti da enti pubblici.
Soprattutto, sotto il primo aspetto, l’assegnazione della pratica al singolo mediatore all’interno dell’organismo
andava fissata con criteri oggettivi, analoghi, seppur in forma semplificata, a quelli che sussistono nei tribunali con il sistema c.d. tabellare, visto che, come detto, l’attività del mediatore interferisce con la giurisdizione.
Il DM 180/10 è rimasto viceversa silente sul punto, lasciando così la questione alla discrezionalità dell’organismo, che la regolerà in base al proprio statuto.
In questo modo si potranno avere statuti che prevedranno l’assegnazione delle pratiche su designazione discrezionale del presidente, oppure di un garante, singolo o collegiale, o di altro soggetto, all’uopo istituito.
L’art. 5 d. lgs. 28/10, in combinato disposto con l’art. 4 del DM 180/10, si pone pertanto in contrasto con l’art. 97 Cost., visto che l’assenza di un meccanismo oggettivo e predeterminato per l’assegnazione delle pratiche rischia di compromettere l’indipendenza e la terzietà del mediatore, attribuendo un potere gestionale inammissibile all’organismo.
E’ la violazione dell’art. 97 Cost. si evidenzia come fondata ove solo si considera che l’attività del mediatore interferisce come detto con quella giurisdizionale, e quindi ha la necessità di essere esercitata alla luce di detti criteri di trasparenza, indipendenza e imparzialità.
P.Q.M.
si chiede che l’Ill.mo Tribunale Voglia rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d. lgs. 28/10, anche in combinato disposto con l’art. 60 della l. 18 giugno 2009 n. 69, nonché con gli artt. 4 e 16 del DM 10 ottobre 2010 n. 180, per violazione degli artt. 77, 24, 3 e 97 Cost. secondo le ragioni sopra esposte.
Ossequi.

ompare l’avv…………….per la parte………………il quale eccepisce l’incostituzionalità dell’art. 5 del d. lgs. 28/10, anche in combinato disposto con l’art. 60 della l. 18 giugno 2009 n. 69, nonché con gli artt. 4 e 16 del DM 10 ottobre 2010 n. 180, per violazione degli artt. 77, 24, 3 e 97 Cost., per le ragioni che si passano ad esporre.
Violazione dell’art. 77 Cost.
V’è, in primo luogo, un eccesso di delega, che, nel caso di specie, si concretizza addirittura in un contrasto tra la legge delega e il decreto legislativo.
Ed infatti, l’art. 60 l. 69/09 disponeva di “prevedere che la mediazione, finalizzata alla conciliazione”, fosse realizzata “senza precludere l’accesso alla giustizia”.
L’art. 5 del d. lgs. 28/10, al contrario, ha reso in molti casi la mediazione una condizione di procedibilità della domanda, e dunque ha disciplinato il fenomeno oltre i limiti fissati dalla legge delega, ed anzi, e più precisamente, in contrasto con la stessa nella parte in cui, appunto, non voleva che la mediazione precludesse l’accesso alla giustizia.
Ne’, in senso contrario, può argomentarsi che la mediazione di cui all’art. 5 del d. lgs. 28/10 non preclude l’accesso alla giustizia, poiché attivato il procedimento di mediazione e trascorsi i quattro mesi di cui all’art. 6, l’accesso alla giustizia è possibile, e la condizione di procedibilità della domanda è assolta.
Ed infatti, che dopo il procedimento di mediazione la parte possa adire il giudice è circostanza del tutto evidente, e certamente non v’era bisogno che la legge ricordasse una ovvietà del genere, poiché nel nostro sistema è impensabile che, dopo una condizione di procedibilità, non si possa procedere, ovvero non si dia alla parte il diritto della tutela giurisdizionale.
Pertanto, se l’art. 60 della l. 69/09 aveva stabilito che la mediazione doveva darsi “senza precludere l’accesso alla giustizia”, essa, evidentemente, non faceva riferimento alla possibilità della parte di adire il giudice dopo la mediazione, cosa scontata e ovvia, ma faceva riferimento alla necessità che la mediazione non condizionasse il diritto di azione, e quindi non fosse costruita come condizione di procedibilità.
Ne’, sempre in senso contrario, può argomentarsi che il problema non sussiste per la brevità del termine di quattro mesi, cosicché la condizione di procedibilità dell’art. 5 sarebbe compensata dal termine breve fissato nell’art. 6.
Ciò, infatti, non può sostenersi perché il termine breve di quattro mesi era già stato fissato dalla legge delega, e precisamente nella lettera q) dell’art. 60, la quale, al tempo stesso, però, voleva che il procedimento di mediazione si desse comunque senza “precludere l’accesso alla giustizia”.
Dunque, la legge delega voleva sia che il procedimento di mediazione non durasse più di quattro mesi, sia che il procedimento di mediazione non precludesse l’accesso alla giustizia.
L’argomento della brevità del termine non può quindi essere utilizzato per escludere l’eccesso di delega, poiché, al contrario, il d. lgs. 28/10, mantenendo il termine già fissato nella lettera q) dell’art. 60 della l. 69/09, non ha però rispettato la medesima disposizione di legge nella parte in cui escludeva che il procedimento potesse costituire condizione di procedibilità della domanda, ovvero fosse in grado di precludere, per tutta la sua durata, l’accesso al giudice.
Nel rispetto dell’art. 60 della legge delega 69/09 l’obbligatorietà del procedimento di mediazione in tutte le ipotesi dell’art. 5 del d. lgs, 28/10 non poteva dunque darsi. L’art. 5 del d. lgs. 28/10, in contrasto con l’art. 60 della l. 69/09, è pertanto incostituzionale per violazione dell’art. 77 Cost.
Violazione dell’art. 24 Cost.
In secondo luogo si deve prendere atto che la mediazione di cui al d. lgs. 28/10 ha un costo, e lo ha anche nelle ipotesi di mediazione obbligatoria, visto che lo stesso art. 16, 4° comma del DM 10 ottobre 2010 n. 180 espressamente prevede che detto costo “deve essere ridotto di un terzo nelle materie di cui all’art. 5, comma 1, del d. lgs.”.
Si eccepisce, al riguardo, che la mediazione può essere obbligatoria, oppure onerosa, ma non le due cose insieme, poiché se la mediazione, come nel nostro caso, è tanto obbligatoria quanto onerosa, allora è incostituzionale.
Sembra evidente, infatti, che il legislatore possa prevedere la mediazione come scelta libera e cosciente della parte, e in questi casi, quindi, anche prevedere che, chi la scelga, debba pagare il servizio; oppure il legislatore può subordinare l’esercizio della funzione giurisdizionale ad un previo adempimento, se questo è razionale e funzionale ad un miglioramento del servizio giustizia, ed in questo senso, come è avvenuto con l’art. 410 c.p.c., può anche prevedere un tentativo obbligatorio di conciliazione, ma senza costi.
Se viceversa il tentativo obbligatorio di conciliazione ha un costo, e questo costo non è meramente simbolico, come avviene con l’art. 16 DM 180/10, allora, nella sostanza, il sistema subordina l’esercizio della funzione giurisdizionale al pagamento di una somma di denaro.
E poiché il nostro sistema non può subordinare l’accesso al giudice al pagamento di una somma di denaro, la media-conciliazione sta in contrasto con i nostri valori costituzionali, e in violazione dell’art. 24 Cost.
Ciò è detto anche alla luce degli orientamenti che la Corte costituzionale ha già avuto su questi temi.
Sostanzialmente, il legislatore può pretendere denari per la funzione giurisdizionale civile solo se questi sono riconducibili a tributi giudiziari o a cauzioni volte a garantire l’adempimento dell’obbligazione dedotta in giudizio.
In tutti gli altri casi, e fin da Corte costituzionale 29 novembre 1960 n. 67, lo Stato non può pretendere denari per adempiere al suo primo e fondamentale dovere di rendere giustizia.
E l’imposizione del pagamento di una somma di denaro per l’esercizio di un diritto in sede giurisdizionale, quale oggi si realizza con la media-conciliazione in forza del combinato disposto dell’art. 5 d. lgs. 28/10 e art. 16 DM 180/10, si pone pertanto in contrasto con tutti i parametri di costituzionalità per come già definitivi in precedenti decisioni dalla Corte costituzionale, in quanto:
a) si tratta di un esborso che non può essere ricondotto ne’ al tributo giudiziario, ne’ alla cauzione;
b) si tratta di un esborso che non può considerarsi di modestissima, e nemmeno di modesta, entità;
c) si tratta di un esborso che non va allo Stato, bensì ad un organismo, che potrebbe addirittura avere natura privata;
d) e si tratta infine di un esborso che nemmeno può considerarsi “razionalmente collegato alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione”, poiché questi esborsi, di nuovo, sono da rinvenire solo nelle cauzioni e nei tributi giudiziari, non in altre cause di pagamento, e perché un esborso che non va allo Stato ma ad un organismo, anche di natura privata, non può mai avere queste caratteristiche.
Violazione dell’art. 3 Cost.
In terzo luogo la media-conciliazione rompe altresì il trattamento paritario nel processo tra attore e convenuto.
Ciò già avviene con il d. lgs. 28/10, che prevede la condizione di procedibilità ex art. 5 per la domanda principale e non per la domanda riconvenzionale, ma oggi, più gravemente, avviene con l’art. 16 DM 180/10, concernente i criteri di determinazione delle indennità.
Tale disposizione, infatti, divide le indennità del procedimento di mediazione tra “spese di avvio del procedimento” e “spese di mediazione”.
Le “spese di avvio del procedimento” sono dovute da “ciascuna parte” ma sono versate “dall’istante al momento del deposito della domanda” (2° comma) .
Parimenti “le spese di mediazione indicate sono dovute in solido da ciascuna parte che ha aderito al procedimento”.
Dunque, il decreto ministeriale espressamente prevede che la parte convenuta possa non aderire al procedimento.
Cosicché, ai sensi dell’art. 3 Cost.: a) o si ritiene che anche l’attore possa non aderire al procedimento, e quindi possa versare la sola spesa di avvio del procedimento ai fini dell’art. 5 del d. lgs. 28/10 con contestuale dichiarazione di non voler avvalersi del servizio; b) oppure il sistema è in violazione del principio d’eguaglianza, consentendo solo alla parte convenuta di non aderire al procedimento, ma non alla parte attrice, che si vedrebbe ob torto collo obbligata al procedimento di mediazione per poter far valere in giudizio un suo diritto.
L’istituto della media-conciliazione di cui all’art. 5 del d. lgs. 28/10, in combinato disposto con l’art. 16 DM 180/10, in questi termini, non viola così solo l’art. 24 Cost. (per essere, al tempo stesso, obbligatoria e onerosa), ma viola anche l’art. 3 Cost., perché pone su piani diversi, e tratta diversamente, la parte attrice rispetto a quella convenuta.
Ne’, contro questo argomento, si può sostenere che la diversità di trattamento dipende dalla diversità delle pretese, perché è l’attore che vuol adire il giudice, non il convenuto.
Un rilievo del genere può esser fatto solo da chi veda nell’attore un rompiscatole da arginare e non la parte che ha subito un torto e chiede giustizia.
Adire il giudice è un diritto costituzionale, e chi intende farlo non deve subire pregiudizi rispetto alle altre parti processuali, che possono essere proprio quelle che hanno causato l’insorgere della lite per una violazione di legge.
Altrimenti il sistema, oltre ad infrangere il trattamento paritario delle parti in giudizio, rischia altresì di compromettere seriamente l’elementare dovere del rispetto delle obbligazioni, con gravi ripercussioni non solo sul diritto, ma anche sull’economia.
Violazione dell’art. 97 Cost.
Un quarto aspetto di incostituzionalità attiene all’organizzazione interna degli organismi di conciliazione, anche per come definiti con l’art. 4 del DM 180/10.
Ed infatti, nel momento in cui la procedura di mediazione è resa obbligatoria al fine di far valere in giudizio un diritto, e nel momento in cui le attività del mediatore interferiscono con l’esercizio della funzione giurisdizionale, in quanto i verbali di conciliazioni costituiscono titolo esecutivo (art. 12, d. lgs. 28/10), le proposte di conciliazione hanno conseguenze sulla liquidazione delle spese del giudizio (art. 13, d. lgs. 28/10), nonché la mancata partecipazione al procedimento di mediazione può rilevare ex art. 116, 2° comma c.p.c. (art. 8, d. lgs. 28/10), va da sé che il procedimento ha funzione pubblica, e deve pertanto rispondere ai requisiti di buon andamento e di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., soprattutto quando l’organismo è ente pubblico.
Ora, niente di questo si trova nell’art. 4 del DM 180/10, che usa talune espressione elastiche, e fissa blandi criteri di professionalità dei mediatori, ma niente più, senza prescrivere come doverose le condizioni minime di trasparenza, eguaglianza e imparzialità dovute all’esercizio di una funzione pubblica.
In particolare il decreto ministeriale doveva prevedere criteri oggettivi circa l’assegnazione delle pratiche fra i vari mediatori dell’organismo, nonché criteri oggettivi circa il reclutamento degli aspiranti mediatori presso gli organismi costituiti da enti pubblici.
Soprattutto, sotto il primo aspetto, l’assegnazione della pratica al singolo mediatore all’interno dell’organismo
andava fissata con criteri oggettivi, analoghi, seppur in forma semplificata, a quelli che sussistono nei tribunali con il sistema c.d. tabellare, visto che, come detto, l’attività del mediatore interferisce con la giurisdizione.
Il DM 180/10 è rimasto viceversa silente sul punto, lasciando così la questione alla discrezionalità dell’organismo, che la regolerà in base al proprio statuto.
In questo modo si potranno avere statuti che prevedranno l’assegnazione delle pratiche su designazione discrezionale del presidente, oppure di un garante, singolo o collegiale, o di altro soggetto, all’uopo istituito.
L’art. 5 d. lgs. 28/10, in combinato disposto con l’art. 4 del DM 180/10, si pone pertanto in contrasto con l’art. 97 Cost., visto che l’assenza di un meccanismo oggettivo e predeterminato per l’assegnazione delle pratiche rischia di compromettere l’indipendenza e la terzietà del mediatore, attribuendo un potere gestionale inammissibile all’organismo.
E’ la violazione dell’art. 97 Cost. si evidenzia come fondata ove solo si considera che l’attività del mediatore interferisce come detto con quella giurisdizionale, e quindi ha la necessità di essere esercitata alla luce di detti criteri di trasparenza, indipendenza e imparzialità.
P.Q.M.
si chiede che l’Ill.mo Tribunale Voglia rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d. lgs. 28/10, anche in combinato disposto con l’art. 60 della l. 18 giugno 2009 n. 69, nonché con gli artt. 4 e 16 del DM 10 ottobre 2010 n. 180, per violazione degli artt. 77, 24, 3 e 97 Cost. secondo le ragioni sopra esposte.
Ossequi.

[/note]