La suprema Corte di Cassazione con la recente sentenza 14 gennaio 2008, n. 593, ripercorrendo il proprio orientamento in materia, ha provveduto a ribadire l’ importanza del lavoro svolto dalle casalinghe per permettere la realizzazione professionale del marito, precludendosi in tal modo un proprio percorso lavorativo, sempre più difficile da intraprendere con l’avanzamento dell’età.
Nel caso di specie, venivano contrapposti gli interessi di due ex coniugi. La moglie chiedeva alla Corte d’appello la riquantificazione dell’assegno, riconosciutole in primo grado senza considerare l’apporto fornito dalla medesima, casalinga e madre, alla conduzione familiare durante la ventennale convivenza, e il marito chiedeva, viceversa, che l’assegno non venisse più corrisposto a causa del licenziamento della medesima da un posto di lavoro trovato dopo il divorzio.
In primo grado venivano respinte entrambe le richieste, ma la Cassazione, ha successivamente accolto i motivi prospettati dalla signora, la quale, sottolineava la sua difficoltà a trovare un lavoro perché non più di giovane età, e priva di esperienza a causa della suo totale dedizione alla gestione familiare.
La Corte ha stabilito a tal proposito che: «il giudice deve procedere alla determinazione dell’assegno sulla base della valutazione ponderata e bilaterale delle condizioni dei coniugi, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune», e conclude dichiarando che: «l’influenza del criterio basato sul contributo della Signora alla conduzione famigliare non risulta oggetto di alcuna valutazione da parte della Corte territoriale, che avrebbe dovuto invece effettuarla».
Scarica la Sentenza Corte di cassazione n. 593-2008
Sommario:
- Percorso giurisprudenziale sulla natura giuridica dell’ assegno divorzile. La sentenza della Corte di Cassazione del 14 gennaio 2008 n. 593
- Natura composita dell’assegno divorzile
- Natura eminentemente assistenziale dell’assegno divorzile
- Conclusioni
Percorso giurisprudenziale sulla natura giuridica dell’ assegno divorzile. La sentenza della Corte di Cassazione del 14 gennaio 2008 n. 593
La Sentenza citata ribadisce l’importanza del ruolo decisionale del Giudice, il quale, nell’accertare il diritto del coniuge più debole a percepire l’assegno di divorzio deve necessariamente percorrere un preciso percorso, non potendo limitarsi alla verifica dell’esistenza del suddetto diritto in astratto.
Invero, la valutazione della possibilità di onerare una delle due parti alla corresponsione dell’ assegno divorzile deve fondarsi su una stima delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno, di quello comune e del reddito di entrambi.
Infine la sentenza n. 593/2008 ribadisce che ciascuno degli elementi citati dovrà essere valutato anche in rapporto alla durata del matrimonio.
Per la sentenza 14 gennaio 2008, n. 593 l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio deve articolarsi in due diverse fasi:
In via principale il Giudice deve verificare l’esistenza del diritto in astratto, facendo espresso riferimento alla inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, o all’impossibilità del medesimo a procurarseli per ragioni oggettive, raffrontate ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso dal matrimonio.
Successivamente a tale tipo di valutazione il Giudice deve procedere alla determinazione in concreto dell’assegno tenendo conto di diversi fattori:
• le condizioni dei coniugi;
• le ragioni della decisione;
• il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune;
• il reddito di entrambi.
La sentenza de quo ha pertanto nuovamente affrontato la tematica relativa alla individuazione della reale natura giuridica dell’assegno post matrimoniale.
Il legislatore introducendo con la legge 898 del 1970 la possibilità di percepire un assegno di divorzio non si era espresso in relazione alla medesima e la presenza di una tale lacuna ha comportato la nascita di cospicui dibattiti sia in dottrina che in giurisprudenza, con la conseguente individuazione di una pluralità di criteri per l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno medesimo volti a sopperire la succitata lacuna normativa. (Cass. Civ. 09.07.1974 n. 2008; Corte Cost., 10.07.1975 n. 202).
Natura composita dell’assegno divorzile
Successivamente alla emanazione della legge del 1970, la giurisprudenza, ha originariamente sostenuto la natura composita dell’assegno divorzile individuando nella natura della contribuzione de quo una triplice composizione, riconoscendo in via ermeneutica dal dettato della norma, contestualmente una natura assistenziale, compensativa e risarcitoria.
Pertanto, originariamente, si è ritenuto che nel liquidare l’assegno di divorzio l’organo giudicante fosse chiamato a valutare tre differenti aspetti:
– condizioni dei coniugi ed il reddito di entrambi atteso che l’assegno doveva avere la funzione di supplire ad una oggettiva impossibilità del coniuge “più debole” di mantenere lo stesso tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio (criterio assistenziale);
– contributo personale ed economico prestato da ciascun coniuge al menage familiare ed alla formazione del patrimonio personale e familiare (criterio compensativo);
– eventuale responsabilità di uno dei due coniugi nella disgregazione del nucleo familiare (criterio risarcitorio).
Alla luce di tale impostazione composita gli organi giudicanti riconoscevano la possibilità di elargire l’assegno de quo, almeno nei casi in cui la funzione di tale assegno fosse risarcitoria o compensativa (cass. civ. 18.05.1983 n. 3427; cass. civ. 03.07.1980 n. 4223).
Un tale tipo di orientamento, presentava però un duplice risvolto. Invero, Da una parte riusciva a facilitare l’attività svolta dai Giudici nell’emettere provvedimenti di carattere patrimoniale all’ interno di un contenzioso familiare, infatti gli stessi, analizzando la molteplice funzionalità dell’erogazione pecuniaria riuscivano ad emettere provvedimenti in grado di aderire perfettamente alla pratica casistica. Sotto altro profilo però l’ampia discrezionalità accordata ai Tribunali comportava il rischio di produzione di giudicati contrapposti su medesime-circostanze.
Natura eminentemente assistenziale dell’assegno divorzile
Al fine di ovviare alla suddetta opportunità di litigiosità l’art 5, comma 6 della legge del 1970 è stato modificato con la legge n. 74 del 6 marzo 1987 la quale, è stata emanata al fine di risolvere le incertezze e i contrasti giurisprudenziali registratisi in materia di assegno divorzile.
L’art. 10 di tale legge, stabilisce che presupposti per l’assegnazione del peculiare diritto di credito di che trattasi sono: la mancanza da parte del coniuge richiedente di mezzi adeguati a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e l’impossibilità di procurarsi i medesimi per ragioni oggettive.
Secondo autorevole dottrina (nota Macario, commento all’art. 10 della l. 74/1987, in Nuove Leggi Civili Commentate, 1987) intento della novella del 1987 era quello di chiarire gli elementi da valutare ai fini della configurazione dell’an debeatur dell’assegno di divorzio in modo da assicurare maggiore tutela al coniuge “più debole”. Invero, la giurisprudenza ha ritenuto che la finalità perseguita dal legislatore fosse quella di prendere in considerazione l’ultrattività della solidarietà familiare e di attribuire all’assegno di divorzio natura eminentemente assistenziale dal momento che scopo del medesimo era supplire ad una oggettiva impossibilità del coniuge di mantenere le medesime condizioni economiche tenute in costanza di matrimonio.
A tal proposito, risulta opportuno stabilire come la dottrina e la giurisprudenza abbiano interpretato i concetti di “mezzi adeguati” e “ragioni oggettive”.
Dalla emanazione della legge del 1987 la giurisprudenza, pur partendo da una valutazione di tipo assistenziale dell’assegno post matrimoniale, nel corso degli anni ha modificato il significato attribuito al concetto di “mezzi adeguati” .
L’orientamento giurisprudenziale immediatamente successivo alla emanazione della succitata normativa riteneva che presupposto per la corresponsione dell’assegno di divorzio fosse il deterioramento, seppur minimo delle condizioni economiche e pertanto dello standard di vita precedenti la cessazione degli effetti civili del matrimonio (cass. civ. 17.03.1989 n. 1322; cass. civ. 29.11.1990 n. 11490).
Successivamente la giurisprudenza ha modificato il suddetto orientamento ritenendo, in applicazione del principio di solidarietà post-coniugale, che presupposto per la titolarità del diritto all’erogazione dell’assegno divorzile, stante proprio la sua funzione assistenziale, fosse la inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, il quale cioè non fosse in grado di sopperire alla carenza dei mezzi conseguente alla dissoluzione del vincolo matrimoniale e versante in una situazione tale da non potersi permettere un tenore di vita autonomo e dignitoso, anche se totalmente distaccato da quello che si aveva in costanza di matrimonio (cass. civ. 12.03.1990 n. 1652; cass. civ. 01.12.1993 n. 11860). Di massima importanza è da ritenersi la pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 29 novembre 1990 n. 11490, la quale, ha provveduto a precisare nuovamente il carattere esclusivamente assistenziale dell’assegno di divorzio, ritenendo che la misura concreta del medesimo deve essere fissata in base alla valutazione dei criteri individuati dalla legge, ma il giudice purchè ne dia adeguata giustificazione, non è tenuto ad utilizzare tutti i citati criteri, ma dovrà accertare la possibilità di concedere il diritto a percepire l’assegno post matrimoniale in relazione all’an e al quantum valutando l’influenza dei medesimi criteri sulla misura dell’assegno, che potrà anche essere escluso sulla base dell’incidenza negativa di uno o più di essi.
Con particolare riferimento all’an il giudizio sul medesimo alla luce del criterio assistenziale può svolgersi riconoscendo l’assegno di divorzio solo all’ex coniuge che dimostri di non aver mezzi adeguati per ripristinare il tenore di vita quo ante, tenendo conto non solo del suo reddito, ma anche del suo patrimonio e delle altre utilità di cui possa disporre (cass. civ. 15.01.1998 n. 317), mentre gli ulteriori criteri individuati dal dettato della norma saranno necessari al fine di quantificare l’ammontare dell’assegno.
Appare evidente che l’onere probatorio di dimostrare l’inadeguatezza dei mezzi a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio ricade sul coniuge istante ed al fine di facilitare l’onere di attestare la capacità reddituale le parti in sede giudiziale vengono onerate al deposito delle ultime dichiarazioni fiscali e laddove esse risultino incongruenti con il labilmente sostenuto tenore di vita, è consentito avvalersi degli strumenti processuali contemplati nel nostro ordinamento, quali prove testimoniali e documentali ed ivi compresa la possibilità di avvalersi della Polizia tributaria al fine delle indagini sulla effettiva capacità reddituale delle parti e pertanto dell’effettivo tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio.
Laddove tale valutazione dia esito positivo (inteso nel senso su esposto, e cioè lasci presumere che il coniuge istante abbia la capacità di poter assicurare a sé un tenore di vita dignitoso), il giudice deve procedere a determinare il “quantum” prendendo a riferimento i criteri indicati dal legislatore e cioè “le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.
Occorre sottolineare che l’ammontare dell’assegno potrà essere oggetto anche di successiva modifica atteso che nella quantificazione del medesimo sarà opportuno e necessario valutare anche gli incrementi (o la riduzione) reddituali o patrimoniali del consorte obbligato che costituiscano “naturale e prevedibile sviluppo dell’attività svolta durante il matrimonio” (Cass. n. 4319/1999). A titolo esemplificativo parte della giurisprudenza ha ritenuto valida motivazione di aumento dell’ammontare dell’assegno post-matrimoniale anche gli incrementi patrimoniali di uno dei coniugi conseguenti a ragioni successorie intervenute successivamente alla cessazione della convivenza, laddove l’evento era prevedibile e le aspettative ereditarie del coniuge costituivano un quid capace di incrementare la sua complessiva capacità patrimoniale.
Sembrano invece, non valutabili gli aumenti reddituali e patrimoniali scaturenti da eventi con carattere di eccezionalità o dalla nascita di nuove attività lavorative non ricollegabili a quelle svolte nel corso della vita matrimoniale. Gli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge dal quale si pretenda l’erogazione, posteriori alla interruzione della convivenza, rilevano solamente laddove costituiscano sviluppi naturali, logici e prevedibili dell’attività svolta nel corso della vita matrimoniale, in tale ridotta accezione detti incrementi economici costituiscono aspettative del coniuge istante meritevoli di tutela.
Conclusioni
Concludendo si può affermare che la natura giuridica dell’assegno post- matrimoniale è stato oggetto di non poche pronunce giurisprudenziali, e riassumendo si riscontra che successivamente alla emanazione della legge 898 del 1970, la giurisprudenza, ha preminentemente avvalorato la natura composita dell’assegno divorzile, mentre con la modifica del testo normativo sulla legge sulla cessazione degli effetti civili del con la legge n. 74 del 6 marzo 1987 la giurisprudenza ha provveduto lentamente a modificare il proprio convincimento verso una natura di tipo esclusivamente assistenziale. A distanza di parecchi anni, infine con la sentenza 14 gennaio 2008, n. 593,si registra nuovamente una inversione di pensiero volto a ripristinare la natura assistenziale dell’assegno di divorzio recuperando la funzione compensativa e risarcitoria che si era abbandonata con la consolidazione della natura esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile.
Infine si vuole accennare brevemente che oggi la innovativa tendenza dottrinale e giurisprudenziale in materia di assegno divorzile è di facilitare l’attività del Giudice nello stabilire l’ammontare del medesimo attraverso l’utilizzo di un Modello per il Calcolo dell’ Assegno di Mantenimento (MoCAM), (valevole anche per l’assegno post matrimoniale) che, si pone l’obiettivo di valutare l’ammontare della corresponsione su paramentri oggettivi al fine di eliminare o quanto meno ridurre le difformità nei giudizi.
Scopo del MoCAM non è quello di privare di discrezionalità il Giudice ma di fornire al medesimo degli strumenti validi per esercitare la propria discrezionalità con maggiore consapevolezza attraverso l’utilizzo di valutazioni obiettive (Caratteristiche della famiglia prima e dopo il divorzio, tempo di permanenza dei figli presso ciascun genitore, redditi dei coniugi ecc…) che l’Autorità giudicante potrà utilizzare, totalmente o parzialmente, tenendo conto delle peculiarità del caso sotto esame.
Tale modello è già stato utilizzato da diversi Tribunali tra cui quello di Firenze (Trib. Firenze 3 ottobre 2007 n….) che ha infatti sottolineato la necessità di valutare le conseguenze patrimoniali del divorzio sulla base di parametri oggettivi, ritenendo opportuno disporre una CTU, che attraverso una analisi econometrica dei costi che derivano dalla separazione possa fornire utili indicazioni “affinché il giudizio tenga adeguatamente conto di tutti i parametri indicati dal legislatore rifuggendo da una valutazione precipuamente soggettiva, anziché oggettiva come richiesta dalla norma”