E’ stato predisposto dal Consiglio Nazionale Forense il Progetto di riforma dell’ordinamento professionale forense, (nato dal confronto con gli Ordini locali, OUA, Unioni distrettuali e Associazioni forensi), a partire dal quale si dovrebbero stabilire le nuove disposizioni che regolano l’ordinamento degli avvocati.
Nelle intenzioni, tali nuove disposizioni dovrebbero innovare e condurre la professione di avvocato nel nuovo millennio tenendo conto della normativa comunitaria.
Il testo del Progetto di riforma dell’ordinamento professionale forense.
Diciamo subito che, ad una prima lettura del testo, non riscontriamo novità significative, segni di rottura con vecchi modi di concepire la professione, innovazioni capaci di dare una nuova prospettiva.
In definitiva mi sembra una riforma frutto di piccoli compromessi, priva di una vera e propria visione su quale dovrebbe essere il futuro della professione.
Inoltre, una certa preoccupazione genera la surrettizia introduzione di indici di raggiungimento di reddito minimo come requisito per valutare la continuità dell’esercizio della professione e, quindi, per la permanenza nell’albo degli avvocati (artt. 15 e 19).
Sul punto era già apparso su Il Sole 24ore questo articolo del 28 giugno 2008 che profetizzava (ed auspicava a detta del Presidente Guido Alpa) “una scrematura di circa 35mila avvocati dagli albi, per mancato esercizio della professione o per denunce dei redditi inferiori a 7mila euro l’anno e non giustificate“.
Nello stigmatizzare tali inaccettabili e non condivisibili proposte, frutto di una sorta di cannibalismo corporativo, nel prosieguo analizzeremo alcune delle disposizioni.
Le Associazioni Professionali di Avvocati
Sul punto non si riscontrano significative novità rispetto alla previgente disciplina, qualche ritocco qua e là, ma nulla di realmente significativo:
Art. 4
(Associazioni e società tra avvocati e multidisciplinari)
1. La professione forense può essere esercitata, oltre che a titolo individuale, anche in forma societaria, purché con responsabilità solidale e illimitata dei soci, tutti necessariamente iscritti all’albo. Lo svolgimento di attività professionale è personale anche nell’ipotesi in cui l’incarico sia conferito all’avvocato componente di una associazione o società professionale. L’appartenenza a una associazione o a una società non pregiudica l’autonomia o l’indipendenza intellettuale o di giudizio degli associati e dei soci. Alle società si applicano le norme del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96; alle associazioni professionali si applicano l’art. 1 della legge 23 novembre 1939 n. 1815 e le norme della società semplice, in
quanto compatibili.
2. E’ vietata la costituzione di società di capitali che abbiano nel proprio oggetto l’esecuzione delle prestazioni indicate nell’art. 2.
3. Le associazioni e le società di cui al comma 1 possono essere anche multidisciplinari, comprendendo, oltre agli iscritti all’albo forense, altri professionisti iscritti in albi appartenenti a categorie individuate dal Consiglio nazionale forense con regolamento.
4. Le società od associazioni multidisciplinari possono comprendere nel loro oggetto l’esercizio di attività proprie della professione di avvocato solo se, e fin quando, vi sia tra i soci od associati almeno un avvocato iscritto all’albo. Le associazioni e le società devono avere ad oggetto esclusivamente lo svolgimento di attività professionale, non hanno natura di imprese commerciali e non sono assoggettate alle procedure fallimentari e concorsuali.
5. L’associato e il socio possono far parte di una sola associazione o società.
6. Le associazioni e le società sono iscritte in un elenco speciale aggiunto all’albo forense nel cui circondario hanno sede. La sede dell’associazione o della società è fissata nel circondario ove si trova il centro principale degli affari. I soci e gli associati hanno domicilio professionale nella sede della Associazione o della società.
7. Alle società multidisciplinari si applicano, in quanto compatibili, le norme che regolano le società tra avvocati indicate nel comma 1.
8. L’attività professionale svolta dagli associati o dai soci dà luogo a tutti gli obblighi e ai diritti previsti dalle norme previdenziali.
9. I redditi delle Associazioni e delle Società sono determinati secondo i criteri di cassa, come per i professionisti che esercitano la professione in modo individuale.
10. L’avvocato, le associazioni e le società di cui al presente articolo possono stipulare fra loro contratti di associazione in partecipazione ai sensi dell’art. 2549 e seguenti del codice civile, nel rispetto delle disposizioni del regolamento emanato dal Consiglio nazionale forense.
L’esclusione delle società di capitali può essere condivisa o meno (lo scrivente non ritiene che sia fuori dal mondo la costituzione di una società di capitali fra professionisti).
Viene prevista una responsabilità solidale e illimitata dei soci e lo svolgimento personale dell’attività professionale (una precisazione che non aggiunge alcunché di fatto).
Viene, inoltre, prevista l’applicazione per quanto riguarda le società del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, ovvero l’attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno stato membro diverso da quello in cui e’ stata acquisita la qualifica professionale.
Per quanto riguarda le associazioni si rimanda al vetusto art. 1 della legge 23 novembre 1939 n. 1815 (Le persone che, munite dei necessari titoli di abilitazione professionale, ovvero autorizzate all’esercizio di specifiche attività in forza di particolari disposizioni di legge, si associano per l’esercizio delle professioni o delle altre attività per cui sono abilitate o autorizzate, debbono usare, nella denominazione del loro ufficio e nei rapporti coi terzi, esclusivamente la dizione di «studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario», seguito dal nome e cognome, coi titoli professionali, dei singoli associati. L’esercizio associato delle professioni o delle altre attività, ai sensi del comma precedente, deve essere notificato all’organizzazione sindacale da cui sono rappresentati i singoli associati).
Gli avvocati “Specializzati”
L’irresistibile fascino del biglietto da visita.
In verità questo articolo è, a dir poco, imbarazzante: un avvocato è specializzato non se tratta una materia in modo assiduo e con profitto per i clienti, ma se supera un esame.
Novità: nessuna. Solo un titolo di cui fregiarsi al fine, forse, di convogliare clientela presso il proprio studio.
Con questo non si vuol dire che la “Specializzazione” non sia un elemento fondamentale nella professionalità di un avvocato e che non debbano esistere dei criteri che evidenzino la professionalità di un avvocato. Tutt’altro.
La critiche che qui muoviamo risiedono proprio nel meccanismo (direi inaccettabile) con cui si pretende di attribuire questa sorta di titolo.
Meccanismo del tutto scollegato dalla reale attività professionale ed, invece, collegato ad una serie di adempimenti per così dire burocratici ed accademici.
Se un avvocato effettua un master in diritto finanziario, ad esempio, in una rinomata Università Statunitense, o presso un qualunque altro centro non accreditato dal CNF, non avrà forse diritto a vedersi valutato il proprio corso di studi?
Se un avvocato si occupa con successo di una determinata causa che presenta particolari problematiche, o addirittura ottiene una sentenza che muta il precedente orientamento giurisprudenziale, non avrà forse diritto a vantare la propria specializzazione?
Se un determinato avvocato si occupa di un sito rinomato o i cui scritti vengono pubblicati su riviste o autorevoli siti web, non saranno forse questi elementi da tenere in considerazione per valutare le sue capacità in una determinata materia?
Sarebbe stato meglio, quanto meno, affiancare a quelli evidenziati dei criteri valutativi che trovino la loro ragion d’essere nella reale attività professionale svolta dall’avvocato, anziché rimandare a regole e regoline che nulla possono certificare se non la partecipazione (a volte sterile) ad un corso (lo stesso si può dire e si dirà con riferimento all’aggiornamento professionale).
Ma rimandiamo all’articolo per dare contezza del tenore della proposta che contiene un meccanismo quasi di tipo araldico-universitario:
Art. 8.
(Specializzazioni)
1. È riconosciuta la possibilità per gli avvocati di ottenere e indicare il titolo di specialista, secondo modalità che verranno stabilite da apposito regolamento adottato dal Consiglio nazionale forense ai sensi dell’art. 1 comma 5 e acquisiti anche i pareri delle associazioni specialistiche.
2. Il regolamento prevederà, in maniera da garantire libertà e pluralismo dell’offerta formativa e della relativa scelta individuale: a) l’elenco delle specializzazioni riconosciute, tenuto anche conto delle specificità formative imposte dai differenti riti processuali, da aggiornarsi almeno ogni tre anni; b) i percorsi formativi e professionali, di durata almeno biennale, necessari per il conseguimento dei titoli di specializzazione, ai quali potranno accedere soltanto gli avvocati che alla data della presentazione della domanda di iscrizione
abbiano maturato una anzianità di iscrizione all’albo avvocati, ininterrottamente e senza sospensioni, per almeno due anni; c) le prescrizioni destinate agli Ordini territoriali, alle associazioni forensi, ad altri enti ed istituzioni pubbliche o private per l’organizzazione, anche di intesa tra loro, di scuole e corsi di alta formazione per il conseguimento del titolo di specialista; d) le sanzioni per l’uso indebito dei titoli di specializzazione; e) il regime transitorio.
3. Le scuole e i corsi di alta formazione per il conseguimento del titolo di specialista non potranno avere durata inferiore a due anni per un totale di almeno 250 ore di formazione complessive. All’esito della frequenza l’avvocato dovrà sostenere un esame di specializzazione, presso il Consiglio nazionale forense, il cui esito positivo è condizione necessaria per l’acquisizione del titolo. La commissione d’esame sarà designata dal Consiglio nazionale forense e composta da suoi membri, da avvocati indicati dagli ordini distrettuali, da
docenti universitari, da magistrati, da componenti indicati delle associazioni forensi di cui al regolamento.
4. Il titolo di specialista viene attribuito esclusivamente dal Consiglio nazionale forense.
5. I soggetti di cui al punto 6, lett. c), organizzeranno con cadenza annuale corsi di formazione continua nelle materie specialistiche conformemente al Regolamento che sarà emanato dal Consiglio nazionale forense.
6. Il conseguimento del titolo di specialista non comporta riserva di attività professionale.
7. Gli avvocati docenti universitari in materie giuridiche e coloro che abbiano conseguito titoli specialistici universitari possono indicare il relativo titolo accademico con le opportune specificazioni.
8. Tra avvocati iscritti agli albi, al fine di promuovere le specializzazioni di cui al presente articolo, possono essere costituite associazioni specialistiche nel rispetto dei seguenti requisiti:
a) l’associazione deve avere adeguata diffusione e rappresentanza territoriale;
b) lo statuto dell’associazione deve prevedere espressamente come scopo la promozione del profilo professionale, la formazione e l’aggiornamento specialistico dei suoi iscritti;
c) lo statuto deve escludere espressamente il rilascio da parte dell’associazione di attestati di competenza professionale;
d) lo statuto deve prevedere una disciplina degli organi associativi su base democratica ed escludere espressamente ogni attività a fini di lucro;
e) l’associazione deve dotarsi di strutture, organizzative e tecnico-scientifiche, idonee ad assicurare la determinazione dei livelli di qualificazione professionale e il relativo aggiornamento professionale;
f) le associazioni professionali sono incluse in un elenco tenuto dal C.N.F.
9. Il Consiglio nazionale forense, anche per il tramite degli ordini circondariali, esercita la vigilanza sui requisiti e le condizioni per il riconoscimento delle associazioni di cui al presente articolo.
La pubblicità e le informazioni sull’esercizio della professione
All’art. 9 viene prevista la possibilità di fare pubblicità sul proprio esercizio della professione:
Art. 9.
(Pubblicità e informazioni sull’esercizio della professione)
1. È consentito all’avvocato dare informazioni sul modo di esercizio della professione, purché in maniera veritiera, non elogiativa, non ingannevole e non comparativa.
2. Il contenuto e la forma dell’informazione devono essere coerenti con la finalità della tutela dell’affidamento della collettività, nel rispetto del prestigio della professione e degli obblighi di segretezza e di riservatezza dei principi del codice deontologico.
In sé l’articolo non dice nulla di particolarmente innovativo.
Giusto il fatto che non sia ammessa la comparazione nell’informazione fornita, quanto meno per esigenze deontologiche e vista la natura del “servizio” offerto dall’avvocato.
Un po’ risibile appare la dicitura “non elogiativa” riferito al messaggio informativo/pubblicitario, visto che già di per sé la pubblicità è di per sé elogiativa.
Il fatto che il contenuto dell’informazione debba essere veritiero e non ingannevole rientra nelle generali regole preposte ai messaggi pubblicitari.
Sul punto indichiamo questo articolo: Un contributo in tema di pubblicità informativa degli Avvocati – pubblicato sul sito dell’UNIONE TRIVENETA DEI CONSIGLI DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI.
La formazione continua
Sulla formazione continua lo scrivente ha sempre avuto molte perplessità, in particolar modo con riferimento alle modalità con cui è stata realizzata.
L’art. 10 dispone:
Art. 10.
(Formazione continua)
1. L’avvocato ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali e di contribuire al miglior esercizio della professione nell’interesse degli utenti.
2. Con apposito regolamento approvato dal Consiglio nazionale forense sono disciplinate, in maniera da garantire la libertà e il pluralismo dell’offerta formativa e della relativa scelta individuale, le modalità e le condizioni per l’assolvimento dell’obbligo di formazione permanente da parte degli iscritti e per la gestione e l’organizzazione dell’attività di formazione da parte degli ordini territoriali, delle associazioni forensi e di terzi.
3. L’attività di formazione svolta dagli Ordini territoriali, anche in cooperazione o convenzione con altri soggetti, non costituisce attività commerciale e non può avere fini di lucro.
4. Le Regioni, nell’ambito delle potestà ad esse attribuite dall’art. 117 della Costituzione, disciplinano l’attribuzione di fondi per l’organizzazione di scuole, corsi ed eventi di formazione professionale per avvocati.
A parte la genericità dell’affermazione di principio di cui al comma 3 dell’articolo in commento – ben conosciamo il giro di denaro che ruota agli eventi formativi – non possiamo sottolineare che, nella pratica manca del tutto l’aggancio all’attività formativa che necessariamente l’avvocato deve svolgere al fine di esercitare la professione.
Non si tiene in alcun conto delle riviste e dei libri che l’avvocato deve acquistare per svolgere la sua attività, di tutta l’attività personale di aggiornamento, delle pubblicazioni, e di quant’altro.
Ancora una volta assistiamo a dei meccanismi farraginosi che non certificano alcunché, che non sono in alcun modo formativi, che sottraggono inutilmente tempo e lavoro. Tutta la materia dei corsi da seguire dovrebbe essere ripensata e meglio organizzata, tenuto conto anche del fatto che la professione di avvocato, nonostante la sua rilevanza pubblica e Costituzionale, rimane pur sempre una professione liberale ed inserita in un contesto di economia di mercato.
L’assicurazione per la responsabilità civile
Nulla da dire su tale articolo che ritengo assolutamente di necessaria introduzione:
Art. 11.
(Assicurazione per la responsabilità civile)
1. L’avvocato o l’ente collettivo professionale deve stipulare polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione, compresa quella per la custodia di documenti, somme di denaro, titoli e valori, di volta in volta ricevuti in deposito dai clienti. L’avvocato, se richiesto, deve rendere noti al cliente gli estremi della propria polizza assicurativa.
2. Degli estremi della polizza assicurativa e di ogni sua successiva variazione deve essere data comunicazione, se richiesta, al Consiglio dell’ordine.
3. La mancata osservanza di quanto previsto nel presente articolo costituisce illecito disciplinare.
4. Le condizioni generali delle polizze possono essere negoziate, per i propri iscritti, da Ordini territoriali, associazioni ed enti previdenziali forensi.
5. Il presente articolo entrerà in vigore contestualmente e secondo i contenuti delle direttive comunitarie in corso di emanazione.
6. Sino al verificarsi della previsione di cui al comma 5 l’avvocato deve rendere noto, se richiesto, se ha stipulato polizza assicurativa a copertura della responsabilità civile derivante dall’esercizio della professione indicandone gli estremi.
Le Tariffe professionali
Anche su questo articolo lo scrivente non ha nulla da eccepire, anzi si ritiene doverosa una semplificazione ed una migliore intelligibilità da parte del cliente dell’attività professionale svolta.
Pregevole il riferimento al raggiungimento degli obiettivi perseguiti .
Sull’argomento dei minimi tariffari, sui quali vi sono stati molti contrasti, sarà importante attendere la decisione della Corte di Giustizia europea presso la quale pendono diversi giudizi sul tema.
Art. 12.
(Tariffe professionali)
1. Criterio principale per la determinazione del compenso professionale è quello dell’accordo scritto tra cliente e avvocato in base alla natura, al valore e alla complessità della controversia e al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, nel rispetto del principio di libera determinazione di cui all’art. 2233 del codice civile, fermi peraltro i limiti di cui al comma 5. I compensi devono essere determinati in modo da consentire all’avvocato, oltre al rimborso delle spese generali e particolari, un guadagno adeguato alla sua condizione sociale e al decoro della professione.
2. L’avvocato è tenuto a rendere nota la complessità dell’incarico fornendo le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili al momento del conferimento. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso si applicano le tariffe professionali approvate ogni due anni con decreto del Ministro della Giustizia su proposta del Consiglio nazionale forense, sentiti il CIPE e il Consiglio di Stato.
3. Per ogni incarico professionale, l’avvocato ha diritto ad un giusto compenso e al rimborso delle spese documentate, ai sensi dell’art. 2233 del codice civile. L’avvocato può prestare la sua attività gratuitamente per giustificati motivi. Sono fatte salve le norme per le difese d’ufficio e per il patrocinio dei non abbienti.
4. Le tariffe indicano gli onorari minimi e massimi nonché i diritti e le indennità e sono articolate in relazione al tipo di prestazione e al valore della pratica.
5. Gli onorari minimi e massimi sono sempre vincolanti, a pena di nullità, tranne che nelle particolari ipotesi disciplinate dalle tariffe, e devono essere individuati garantendo che gli stessi perseguano l’obiettivo di tutela dei consumatori ed il buon andamento dell’amministrazione della giustizia.
6. E’ consentito che venga concordato tra avvocato e cliente un compenso ulteriore rispetto a quello tariffario per il caso di conciliazione della lite o di esito positivo della controversia, fermi i limiti previsti dal codice deontologico. Sono nulli gli accordi che prevedano la cessione all’avvocato, in tutto o in parte, del bene oggetto della controversia o che attribuiscano all’avvocato una quota del risultato della controversia.
7. Quando una controversia oggetto di procedimento giudiziale o arbitrale viene definita mediante accordi presi in qualsiasi forma, le parti, salvo diversi accordi, sono solidalmente tenute al pagamento dei compensi e dei rimborsi delle spese a tutti gli avvocati costituiti che hanno prestato la loro attività professionale negli ultimi tre anni.
8. In mancanza di accordo tra avvocato e cliente spetta ai Consigli dell’ordine esperire il tentativo di conciliazione per determinare motivatamente i compensi, secondo le voci e i criteri della tariffa, valutata l’incidenza e il pregio dell’attività professionale svolta.
Albi, elenchi e registi: Titolo II, artt. da 14 a 21
Tale disciplina normativa per albi, elenchi e registri contiene regole in gran parte corrispondenti alle norme già vigenti in materia.
Innovazioni sono previste con riferimento all’elenco delle associazioni e delle società comprendenti avvocati tra i soci, l’elenco degli avvocati non esercenti.
Con riferimento all’iscrizione viene previsto che essa debba avvenire non oltre cinque anni dal superamento dall’esame abilitativo ed è preclusa dopo il compimento del quarantesimo anno di età.
Per la incompatibilità sono state razionalizzate le norme rispetto a quelle approssimative e confuse contenute nell’art. 3 del vigente ordinamento professionale.
Accesso alla professione ed esame di abilitazione alla professione forense: titolo IV
Su tale titolo lo scrivente, invece, ha molti dubbi sulla sua redazione, infatti le previsioni in esso contenute risultano, se non di mera facciata, assolutamente insoddisfacenti ed incapaci di incidere positivamente sulla materia trattata.
Sono stati introdotti degli articoli concernenti i rapporti con l’Università (att. 38, 39, 40). Ma aldilà delle affermazioni di principio, è necessario evidenziare come dovrebbero essere le Università a svolgere una attenta analisi della preparazione anche pratica offerta agli studenti (che lo scrivente ritiene assolutamente insoddisfacente).
Diverse ed ulteriori considerazioni si pongono in relazione sia al tirocinio professionale, sia con riferimento all’esame di abilitazione.
Il tirocinio previsto per l’accesso alla professione di avvocato
Viene prevista: la pratica professionale presso un avvocato italiano, una frequenza facoltativa dei corsi integrativi di formazione professionale; la frequenza facoltativa di uffici giudiziari.
Viene previsto:
un test di ingresso per l’iscrizione nel registro dei praticanti. Tale test “è disciplinato da regolamento emanato dal Consiglio Nazionale Forense, con il quale sono determinati le caratteristiche dei quesiti, i metodi per l’assegnazione degli stessi ai candidati, l’attribuzione dei punteggi, le caratteristiche dei sistemi informativi e tutto quanto attiene alla esecuzione e alla correzione della prova stessa. L’aspirante praticante avvocato è ammesso a sostenere il test di ingresso nella sede di Corte di appello nel cui distretto ha la residenza” (art. 41)
Il tirocinio deve essere svolto in forma continuativa per ventiquattro mesi presso un avvocato, con anzianità di iscrizione all’albo non inferiore a cinque anni; presso l’Avvocatura dello Stato o ufficio legale di ente pubblico; per non più di sei mesi, in altro paese dell’Unione Europea presso professionisti legali, con titolo equivalente a quello di avvocato, abilitati all’esercizio della professione.
Ai sensi del comma 9 dell’art. 41 è previsto che il tirocinio professionale non determina l’instaurazione di rapporto di lavoro subordinato anche occasionale; in ogni caso, al praticante avvocato, decorso il primo anno, è dovuto un adeguato compenso commisurato all’apporto dato per l’attività effettivamente svolta ovvero quello convenzionalmente pattuito.
Su tale punto lo scrivente crede che qualcosa in più in ambito retributivo poteva e doveva essere riconosciuto al praticante, anche al fine di responsabilizzare il dominus nella sua attività di docenza e formazione.
Con riferimento all’argomento relativo alla frequenza dei corsi integrativi di formazione professionale si pongono diversi problemi applicativi (art. 42): Il tirocinio, oltre che nella pratica svolta presso uno studio professionale, consiste altresì nella frequenza obbligatoria e con profitto, per un periodo non inferiore a ventiquattro mesi di corsi di formazione a contenuto professionalizzante tenuti esclusivamente da ordini e associazioni forensi.
Posto che viene previsto che: “I costi per la istituzione e lo svolgimento dei corsi di formazione potranno essere, in parte, a carico dei praticanti che le frequentano, ferma restando la possibilità per gli Ordini e le associazioni forensi di accedere a finanziamenti resi disponibili dallo Stato, dalle Regioni, da altri Enti Pubblici e da privati. I Consigli dell’ordine possono istituire borse di studio o altre forme di agevolazione“, non si può non evidenziare che prima di stabilire la obbligatorietà dei corsi integrativi, è necessario verificarne la costituzione ed il funzionamento e solo dopo si potrà giudicare se è possibile prescrivere la obbligatorietà della frequenza.
Non solo, ma sarà necessario anche eliminare possibili discriminazioni tra praticanti di grandi centri e quelli di zone periferiche, tra praticanti di famiglie benestanti e praticanti senza adeguato aiuto economico familiare.
Tutta la materia, ad avviso dello scrivente, così come regolata da presente progetto, sembra assolutamente insoddisfacente.
L’esame di abilitazione alla professione forense
Non più soddisfacenti risultano le modifiche relative all’esame di accesso alla professione forense.
Viene prevista una prova di preselezione informatica (art. 44 comma 2 e art. 45), che lo scrivente ritiene assolutamente inidonea ed inutile.
L’esame di stato (art. 46) consta:
a) di in una prova scritta avente ad oggetto la redazione di un atto che postuli la conoscenza di diritto sostanziale e di diritto processuale in materia di diritto e procedura civile o di diritto e procedura penale o di diritto e giustizia amministrativa;
b) in una prova orale in forma di discussione con la commissione esaminatrice, durante la quale il candidato dovrà illustrare la prova scritta, e dimostrare la conoscenza delle seguenti materie: ordinamento e deontologia forensi, diritto civile, diritto penale, diritto processuale civile, diritto processuale penale; oltre ad altre due materie, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto commerciale, diritto comunitario ed internazionale privato, diritto tributario.
A quanto pare nessun cambiamento, solo che leggiamo al comma 6 dell’art. 46 che:
“La prova scritta si svolge col solo ausilio dei testi di legge senza commenti e citazioni giurisprudenziali“.
Senza voler gridare allo scandalo, crediamo non opportuna tale modifica visto che l’avvocato si avvale regolarmente di testi annotati (quantomeno) con giurisprudenza. La capacità di un avvocato consiste anche nel saper commentare adeguatamente le massime giurisprudenziali.
E’ previsto che la Commissione deve annotare le osservazioni positive o negative nei vari punti dell’elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti.
Alla prova orale sono ammessi i candidati che abbiano conseguito un punteggio non inferiore a trenta punti nella prova scritta.
Abbiamo riportato sommariamente i punti della riforma riferiti all’esame di abilitazione.
Complessivamente riteniamo di poter dire che si trattano di riforme non sufficienti al fine di riformare seriamente l’accesso alla professione.
Il procedimento disciplinare
L’innovazione principale, con riferimento al procedimento disciplinare, consiste nella istituzione di Consigli distrettuali di disciplina, competenti in via esclusiva al controllo disciplinare degli iscritti. Da varie parti, inoltre, sono state avanzate istanze affinché la competenza disciplinare non sia attribuita agli appartenenti alla stessa professione del giudicando.