Il plenum del CSM, in data 13.01.2010, ha discusso e varato all’unanimità la proposta in tema di revisione delle circoscrizioni giudiziarie (relatrice la togata di Magistratura democratica Ezia Maccora), che di seguito riportiamo, grazie alla segnalazione Celestina Tinelli, avvocato e membro laico del CSM.
Di questo tema ci eravamo occupati, insieme ad Andrea Borruso, in un articolo pubblicato già nel 2008 su TANTO, dal titolo: La Geografia Giudiziaria: la realizzazione di una mappa… per iniziare.
Si tratta di un documento approfondito e profondamente interessante (anche se non corredato da mappe), che rappresenta una piattaforma a partire dalla quale, non discutere, ma iniziare a prendere delle decisioni, ormai non più procrastinabili.
In tal senso – così come rilevato nel comunicato ANSA del 13 gennaio 2010 che dava contezza della risoluzione – si deve evidenziare che tale risoluzione costituisce, di per sé, anche una risposta costruttiva alle richieste di efficenza della giustizia e di durata del processo (ricordiamo che tale risoluzione segue al no al processo breve del CSM)
Fra gli effetti che seguirebbero alla riforma della geografia giudiziaria così come proposta nella risoluzione, vi sarebbe la messa in discussione l’esistenza di buona parte dei “ben 88 tribunali” il cui organico è inferiore alle venti unità.
Nella detta risoluzione vengono previste piante organiche che vanno dalle venti alle quaranta unità, ma con i necessari correttivi quali la presenza di un tribunale ordinario sia in ogni capoluogo di provincia, sia nelle aree maggiormente interessate dal fenomeno della criminalità organizzata o “da una peculiare densità imprenditoriale e commerciale“.
Infatti, viene rilevato, che oggi 88 tribunali presentano un organico inferiore a venti unità, 59 hanno un tra i venti e cinquanta giudici e solo 18 hanno più di cinquanta toghe. Tra gli 88, ci sono 32 uffici che arrivano al massimo a dieci magistrati.
Crediamo anche noi che, in tale maniera, si possa correttamente cominciare a parlare di efficienza del sistema giustizia e gettare le basi per una minor durata dei processi.
Di seguito la risoluzione del CSM.
C.S.M.
“Risoluzione concernente la revisione delle circoscrizioni giudiziarie.”.
(Fasc. 30/RI/2009)
1 . Le ragioni della proposta
Il Consiglio Superiore della Magistratura, nell’esercizio dei poteri espressamente riconosciuti dall’art. 10, comma II, L. 195/1958, ritiene prioritario ed indispensabile segnalare al Ministro della Giustizia la necessità, non più procrastinabile, di procedere alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
La realizzazione di un efficiente sistema giudiziario impone infatti un’attenta riflessione sull’attuale distribuzione sul territorio nazionale degli uffici giudiziari e sulla adeguatezza della loro struttura dimensionale.
La presente proposta intende indicare i termini generali per un aperto confronto al fine di raggiungere l’obiettivo del miglioramento del sistema giustizia al quale devono concorrere, per la parte di propria competenza e nello spirito di leale collaborazione, il Consiglio Superiore della Magistratura ed il Ministro della Giustizia.
2. L’elaborazione consiliare in tema di revisione delle circoscrizioni giudiziarie dal 1991 ad oggi
2.1 Il Consiglio superiore della Magistratura, nel corso degli ultimi vent’anni, ha auspicato più volte la revisione delle circoscrizioni giudiziarie, rilevando la loro inadeguatezza rispetto a criteri di efficienza e modernità dell’esercizio della giurisdizione.
Non sfugge che la questione relativa alla distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari occupa da oltre un secolo il dibattito di politica giudiziaria, atteso che dall’unità di Italia ad oggi non vi è mai stato un intervento legislativo organico che si sia preoccupato di ridisegnare la geografia giudiziaria conformemente alla struttura ed ai reali bisogni della società civile.
L’attuale assetto delle circoscrizioni giudiziarie deriva dalla configurazione che delle stesse disegnava la legge Rattazzi del 13 novembre 1859, n. 3781, nell’incorporare progressivamente le diverse realtà regionali al nuovo Stato unitario. Senza percorrere i complessi passaggi legislativi di questo contrastato processo, va evidenziato che il procedimento si concluse con i rr.dd. 6 dicembre 1865, n. 2626 e 14 dicembre 1865, n. 2641;
nella sostanza “si conservarono le circoscrizioni giudiziarie delle vecchie province, si riformarono quelle della nuove”, prescindendo “totalmente da un’analisi approfondita, attraverso una valutazione statistica del movimento degli affari giudiziari, in rapporto alle attività sociali ed economiche” [così M. D’Addio, Politica e Magistratura (1848-1876), Milano 1966, pp. 164-5]. Già in quell’epoca la classe politica ne discusse a lungo, non riuscendo ad eliminare il difetto d’origine, vale a dire l’assenza di un rapporto equilibrato tra i giudici dello Stato e le comunità territoriali.
2.2 La situazione è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi cento anni come risulta dal parere che il C.S.M. rese in data 8 maggio 1991 in ordine al disegno di legge n. 2478/S relativo alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
Nell’occasione il Consiglio rilevò che “l’esigenza di rivedere la distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio costituisce un punto nodale di fondamentale importanza che condiziona quasi tutti profili organizzativi funzionali dell’apparato di giustizia, così come condiziona la portata complessiva della risposta giudiziaria”.
I problemi connessi a tale esigenza si sono sempre annodati intorno ad un’alternativa di fondo: da un lato la prospettiva del reticolo giudiziario diffuso, in modo da avvicinare quanto più possibile il presidio di giustizia alla collettività, dall’altro il costo amministrativo e di gestione – ormai non più sostenibile – di una disseminazione pletorica e sperequata tra aree diverse.
Il C.S.M. già nel 1991 auspicò, nel ribadire la necessità di rivedere la geografia giudiziaria, che la linea di sviluppo di una possibile legge di riforma si modellasse sulla logica di fondo di istituzione di tribunali omogenei di medie dimensioni.
In quell’occasione si evidenziò che le circoscrizioni giudiziarie, delineate mediante la distribuzione capillare degli uffici sul territorio, soddisfacevano l’esigenza reale di avvicinare la giustizia al popolo e all’ufficio; ma “Venute meno le difficoltà delle comunicazioni e dei trasporti ed annullate le distanze di spazio e di tempo, oggi la distribuzione capillare nel territorio degli uffici giudiziari non ha valide giustificazioni. Peraltro, la legislazione varia e multiforme, originata dall’estrema complessità della società post-industriale, rende difficilissima la conoscenza compiuta del sistema. Per la organizzazione giudiziaria ha fatto il suo tempo il criterio del medico condotto…Fuori di metafora, alla distribuzione capillare nel territorio degli uffici giudiziari, si collega, inevitabilmente, una figura di giudice anacronistica. Un magistrato umano, saggio ed equilibrato, certamente ammirevole. Ma un giudice che non si avvantaggia della divisione del lavoro: quindi, che riesce a sapere qualcosa di tutto, ma che raramente sa tutto su una cosa. Dunque, non un professionista moderno: non un tecnico del diritto, che conosce a fondo la sua materia ed è in grado di reggere il confronto e la dialettica con gli agguerriti esponenti del foro e delle università”.
Il C.S.M. suggerì, quindi, che la chiave per intervenire sulle circoscrizioni giudiziarie fosse basata sull’individuazione della dimensione ottimale dell’ufficio giudiziario, per l’identificazione della quale occorreva avere riguardo a criteri di massima efficienza.
La dimensione ottimale e la massima efficienza sono elementi che devono essere tenuti in stretta correlazione, sì che per cogliere la prima occorre muovere dal portato della “massima efficienza”; quest’ultima va intesa quale “definizione del maggior numero di affari in tempi stabiliti, con provvedimenti “giusti” e con l’impiego di risorse proporzionate”. Sul piano pratico si rilevò, inoltre, che “la massima efficienza si consegue con la sapiente combinazione degli elementi quantitativi e qualitativi: con una organizzazione di uomini e di
mezzi, che ai magistrati specialisti consenta di dedicarsi esclusivamente al loro compito, che è studiare meditare e decidere. In sintesi, con un ufficio di dimensione ottimale. La dimensione ottimale dell’ufficio si determina sulla base della considerazione congiunta di fattori molteplici, i quali tra loro interagiscono: principalmente, il risultato, la organizzazione e la domanda”.
Tanto premesso il C.S.M., pur ritenendo che la dimensione ottimale degli uffici non potesse fissarsi in astratto ed aprioristicamente, stabilì che utile criterio di riferimento fosse quello di quaranta giudici per tribunale, fatti salvi i necessari correttivi secondo un principio di contigenza. In tale prospettiva, venne evidenziata la necessità che in ogni capoluogo di provincia fosse mantenuto (ovvero istituito laddove mancasse) il tribunale, ferma restando la possibilità che nelle grandi città si potessero predisporre più uffici della dimensione ottimale, suddivisi secondo le specialità (per esempio: un tribunale civile, uno commerciale, uno penale ordinario ed uno penale speciale).
Per le aree maggiormente interessate dal fenomeno della criminalità organizzata, venne ravvisata la necessità di correttivi, tendenti a garantire la conservazione di uffici giudiziari, che non sarebbe stata giustificata in base ai criteri generali.
Con riferimento agli uffici requirenti, si auspicò che venisse mantenuta la regola tradizionale secondo la quale la loro dimensione territoriale dovesse essere mutuata sulla base dei corrispondenti uffici giudicanti.
Infine, con riguardo alle Corti di appello, non si ritennero necessarie significative modifiche rispetto allo stato vigente all’epoca, atteso che l’unica Corte di appello di dimensioni particolarmente ridotta, vale a dire quella di Caltanisetta, meritava di essere mantenuta in ragione della presenza sul relativo territorio di associazioni criminali.
2.3 A distanza di tre anni, in data 25 maggio 1994, l’organo di governo autonomo della Magistratura tornò nuovamente sul tema della revisione delle circoscrizioni giudiziarie, con una risoluzione recante “Segnalazione al Ministro di Grazia e Giustizia della necessità di provvedere alla revisione delle circoscrizioni e in particolare alla soppressione di Corti d’Appello, Tribunali e Procure della Repubblica al fine di rendere immediatamente praticabili la riforma del processo civile ed il rilancio del processo penale”.
Di fronte alla gravità della crisi della giustizia già allora manifestatasi, si ritenne doveroso formulare in termini più concreti un’articolata proposta di intervento sulle circoscrizioni giudiziarie, all’indomani della relazione al Parlamento sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, con lo spirito costruttivo proprio del leale dibattito istituzionale.
Per quanto riguarda le Corti di Appello, il Consiglio propose un primo criterio di carattere generale, in base al quale si ritenne “in via di massima ottimale la corrispondenza fra tali uffici e il territorio regionale”. Nell’ipotesi in cui per esigenze particolari la presenza di una sola corte in una regione fosse risultata insoddisfacente, si propose l’istituzione di non più di due distretti per regione, ferma restando in ogni caso la soppressione di tutte le sedi distaccate di Corte di Appello. Discorso a parte fu sviluppato per la realtà siciliana, ove si propose la soppressione unicamente della Corte di Appello di Caltanisetta, in ragione dell’intensa presenza della criminalità organizzata in quella regione.
Nell’esaminare la distribuzione sul territorio dei Tribunali, si evidenziò, preliminarmente, che l’istituzione del giudice unico di primo grado avrebbe avuto significative incidenze sulle circoscrizioni giudiziarie, il che rendeva quanto mai urgente l’intervento legislativo anche in tale delicato ambito, “in modo da consentire un’adeguata comparazione tra la geografia giudiziaria e il nuovo modello organizzativo costituito dal giudice unico in primo grado”.
Ciò posto, il Consiglio, “in un’ottica al contempo statica e dinamica del servizio da rendere alla popolazione”, individuò – sulla scorta delle indicazioni dei consulenti all’uopo nominati dal Consiglio medesimo – tre indici per la selezione delle sedi di tribunale da
conservare: 1) capoluoghi di provincia; 2) livello di polarizzazione urbana; 3) ampiezza dell’area di gravitazione per servizi.
In base al primo indice, andava garantita la presenza di uffici giudiziari in tutte le sedi provinciali. Il secondo ed il terzo indice identificavano quei centri che, pur non essendo capoluogo di provincia, “hanno un elevato numero di abitanti e dispongono di un’alta dotazione di servizi interni al centro urbano, elemento fondamentale per l’espletamento di un servizio giustizia all’altezza dei tempi. All’opposto emergono, in maniera omogenea le ubicazioni residue, vale a dire quei centri dove le funzioni urbane sono ormai ampiamente depauperate a causa dei cambiamenti demografici, sociali ed economici verificatisi nel corso dei secoli”.
In ogni caso, nella risoluzione in commento venne evidenziata la necessità di non privare della presenza di un tribunale le zone caratterizzate da un alto tasso di criminalità organizzata.
Il Consiglio giunse, in applicazione degli indici in oggetto, “ad una proposta, per la quale i centri da conservare 1) o sono capoluogo di provincia; 2) o sono in zone di forte criminalità organizzata; 3) o sono vicini alle metropoli; 4) o devono possedere le seguenti caratteristiche: a) si collocano in situazioni nelle quali la domanda di giustizia è particolarmente intensa: sono quelle sulle quali gravitano decine di comuni (almeno trenta) o comunque ad alta intensità abitativa; b) si tratta, contemporaneamente, di centri di terzo livello per servizi resi alle imprese e di quarto livello per servizi resi alle famiglie ”.
Discorso a parte era sviluppato con riguardo ai “tribunali che si trovano a ridosso di grandi città e, quindi, di mega-uffici, le cui dimensioni già da sole ne determinano l’ingovernabilità”.
In ordine ai cosiddetti “mega-uffici” il C.S.M. prospettò due linee di intervento progressive. Per un verso, infatti, si suggerì di limitarne la competenza al territorio del comune, ricorrendo ad altri tribunali per la copertura del residuo territorio provinciale. Per altro verso, si propose che per i tribunali di Roma, Napoli, Milano e Torino fosse realizzata un’ulteriore ripartizione dei relativi uffici giudiziari su base territoriale (dividendo la metropoli in due o tre parti con altrettanti tribunali e procure) ovvero funzionale (tribunale civile e tribunale penale).
2.4 Il 15 luglio 1996, nell’ambito della Relazione al Parlamento sullo stato della Giustizia, il C.S.M. tornò nuovamente sul tema della revisione delle circoscrizioni giudiziarie, ribadendo in parte quanto aveva già affermato nella delibera del 25 maggio 1994.
In particolare, si evidenziò che era necessario ridisegnare la geografia giudiziaria, secondo modelli organizzativi adeguati ai temi ed alle varietà di situazioni strutturali, con
attenzione alla effettiva domanda di giustizia e tenendo conto di indici di lavoro predeterminati ed affidabili, in modo da offrire un valido ed attendibile criterio per le scelte di soppressione o di accorpamento di circondari. Sottolineò, quindi, che l’efficienza e la funzionalità degli uffici giudiziari è preliminarmente condizionata dalla loro razionale distribuzione sul territorio e dal corretto dimensionamento dei loro organici.
Il Consiglio chiarì che il mero aumento dell’organico dei magistrati ordinari, in assenza di una razionale distribuzione territoriale delle risorse umane, non poteva costituire la soluzione ai problemi di inefficienza dell’apparato giudiziario. Ribadì, conseguentemente, che i criteri da applicare per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie fossero “collegati agli indici di lavoro disponibili, alle condizioni socio-economiche di ciascuna zona, alle possibilità di collegamento fra i centri ed alla caratterizzazione strategica dei presidi giudiziari commisurata al tasso di criminalità organizzata”, vale a dire quelli già ampiamente descritti nella sopra illustrata risoluzione del 1994.
Il Consiglio fece proprie le conclusioni raggiunte dal Gruppo di studio per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie istituito con Decreto ministeriale del 3 gennaio 1994 ed indicò tre ordini di priorità su cui fondare il riassetto dei circondari giudiziari, ritenendo necessario:
1) aggregare i circondari esistenti sulla base delle affinità ed omogeneità della domanda di giustizia (ad es. livello di densità della popolazione o dei procedimenti penali);
2) aggregare i circondari tenendo conto del riequilibrio del sistema di offerta di giustizia (magistrati, strutture, ecc.) nonché di altri elementi fondamentali, quali i livelli di prestazione del sistema (flussi e carichi di lavoro, popolazione per magistrato), l’accessibilità alle sedi giudiziarie sul territorio, le dimensioni delle aree urbane e la presenza di particolari fenomeni di criminalità organizzata in alcune province;
3) aggregare i circondari in base al vincolo geografico, prendendo in considerazione solo gli accorpamenti di circondari appartenenti ad una medesima provincia, al fine di garantire l’accessibilità degli utenti al servizio giustizia sul territorio”.
Si osservò, conclusivamente:
“In sintesi, la riunione di due o più circondari con esigenze giudiziarie qualitativamente e quantitativamente simili, permetterebbe di adottare una soluzione funzionale omogenea più efficiente di quanto potrebbe avvenire nel caso in cui ad accorparsi fossero dei circondari con esigenze peculiari estremamente differenti.
Considerazioni analoghe sono state formulate circa il punto 2), per gli indicatori dell’offerta di giustizia sul territorio determinati dalle risorse umane, tecniche ed organizzative, nonché dai livelli di prestazione del sistema (flussi di lavoro, rapporto popolazione/numero dei magistrati, ecc.) e per quei correttivi (accessibilità sul territorio da parte delle utenze, dimensionamento delle aree urbane, presenza di fenomeni di criminalità organizzata) idonei ad incidere sulle prospettate aggregazioni di uffici.
Quanto al punto 3) ed alla mobilità delle utenze sul territorio si è tenuto conto del fatto che, a fronte di una riduzione delle sedi, corrisponderebbe un diverso sistema di collegamenti del territorio, ovvero dei flussi di spostamento sulle reti infrastrutturali esistenti con la necessità di assicurare comunque presidi giudiziari, ad esempio nei tribunali siti nell’arco alpino, dotandoli di idonee attrezzature e risorse”.
2.5 Il C.S.M. ritornò ancora sulla assoluta necessità di ridisegnare la geografia giudiziari nel parere espresso il 19 gennaio 1998 sullo schema di decreto legislativo concernente “Istituzione delle sezioni distaccate di tribunale e dei tribunali delle aree metropolitane”.
Nell’occasione venne auspicato un intervento legislativo organico e complessivo di revisione delle circoscrizioni giudiziarie, diretto a sopprimere quei tribunale la cui permanenza fosse in evidente contrasto con le “basilari esigenze di concentrazione delle risorse e di flessibilità dell’attività”. Si sottolineò che tale intervento era necessario “non solo per accorpare i Tribunali le cui dimensioni non possono assicurare un efficiente funzionamento, ma anche per rivedere le circoscrizioni territoriali, al fine di decongestionare i grandi tribunali e di puntare su tribunale medi, che possono assicurare una migliore produttività”.
Con riguardo all’istituzione dei tribunali nelle aree metropolitane di Milano, Roma, Napoli e Palermo, il Consiglio condivise l’opportunità del proposto intervento di decongestione, atteso che uffici di così grandi dimensioni risultavano ingestibili, anche in vista della soppressione delle preture circondariali. Nella specie, tuttavia, manifestò il proprio dissenso rispetto alla previsione di istituire nei relativi circondari nuovi tribunali in sostituzione delle sezioni distaccate, perché la stessa, alla prova della sua traduzione in forma specifica, si era rivelata inidonea a soddisfare le dichiarare esigenze di decongestione.
2.6 Ancora il 22 dicembre 1998, e, successivamente, il 14 ottobre 1999, il C.S.M. ritornò su tale specifico tema, allorquando espresse i pareri sui disegni di legge delega sulla revisione dei circondari di Torino, Milano, Roma, Napoli e Palermo.
Nel primo dei pareri indicati, il Consiglio lamentò nuovamente “la mancata soppressione dei tribunali di piccole dimensioni la cui permanenza contrasta con basilari esigenze di concentrazione delle risorse” nonché il “mantenimento anche di sezioni distaccate che distano pochi chilometri dalla sede principale o pochi chilometri fra loro”, così come aveva già fatto nel gennaio 1998.
Si dichiarò, quindi, favorevole alla diversificazione dei criteri da seguire per decongestionare i tribunali di Torino, Milano, Roma, Napoli e Palermo, attese le non trascurabili peculiarità delle singole realtà territoriali, ferma restando l’inopportunità di suddividere il territorio urbano comunale in più realtà giudiziarie, per i conseguenti problemi in materia di competenza in sede sia civile sia penale.
Nel secondo dei pareri sopra indicati il Consiglio valutò alcuni disegni di legge succedutisi in un breve arco temporale sempre sulla medesima materia, ribadendo indicazioni organizzative già più volte espresse nel corso degli anni.
In particolare l’Organo di autogoverno sottolineò che per la decongestione dei tribunali di Torino, Milano, Roma, Napoli e Palermo si rendeva necessario adottare dei criteri calibrati sulle peculiarità strutturali e funzionali di ciascuno di essi. E considerò che, se per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie dei tribunali ordinari era possibile far ricorso a criteri oggettivi e generali – con gli eventuali aggiustamenti del caso – per i “mega-tribunali” in oggetto era, invece, indispensabile suggerire soluzioni mirate.
3. Incidenza della revisione delle circoscrizioni giudiziarie sul bilancio dello Stato.
3.1 Il tema della revisione delle circoscrizione giudiziarie è stato affrontato anche dal Ministero delle Finanze, al fine di elaborare proposte costruttive per un migliore impiego delle risorse economiche.
Il 6 settembre 2007 è stato pubblicato il “Libro verde sulla spesa pubblica”, preparato dalla Commissione tecnica per la finanza pubblica, in adesione alla richiesta del Ministro
dell’Economia e delle Finanze, con lo scopo di offrire un quadro complessivo della dinamica della spesa pubblica e dei principali tentativi di governarla. Si tratta di analisi funzionali alla formulazione di precise linee di riforma della spesa, in considerazione dei risultati conseguiti a fronte delle risorse impiegate.
Uno specifico capitolo della pubblicazione in oggetto è dedicato al settore “Giustizia”.
Si ritiene opportuno riportarne i passaggi di maggiore significatività in relazione al tema che occupa relativo alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, perché gli stessi consentono di cogliere come il tema involga aspetti che riguardano non solo la spesa pubblica ma proprio la stessa efficienza del sistema giudiziario in una prospettiva di razionale impiego delle risorse.
Per quanto concerne, in particolare, “L’organizzazione del sistema giudiziario”, è rilevato che: “Attualmente le principali funzioni giudiziarie sono svolte non più da nove, ma da sette tipologie di uffici giudiziari e il numero di sedi (anche a seguito di ulteriori interventi correttivi della geografia giudiziaria) è attualmente così articolato:
• 848 Uffici del Giudice di Pace
• 165 Tribunali e relative Procure
• 220 Sezioni distaccate di Tribunale
• 29 Tribunali per minorenni
• 29 Corti di Appello (di cui tre sezioni distaccate) e relative procure generali
• Corte di Cassazione e relativa Procura Generale
• Tribunale Superiore delle acque pubbliche”.
In ordine alla “Distribuzione territoriale del personale nell’ambito degli uffici giudicanti”, è rilevato che la “maggiore dotazione di magistrati è riservata alle regioni meridionali”.
All’esito di una completa analisi della distribuzione territoriale del personale nell’ambito degli uffici giudicati, è svolto un approfondimento relativo all’adeguatezza di tale distribuzione, rilevandosi che: “Un indicatore di adeguatezza della distribuzione del servizio basato soltanto sulla popolazione non tiene conto delle diverse condizioni di ordine pubblico e di propensione alla litigiosità esistenti nelle varie aree geografiche italiane. Valutare con indicatori semplici l’adeguatezza di tale distribuzione può portare a conclusioni fuorvianti. Si giunge infatti a risultati assai diversi a seconda dell’indicatore scelto. Ad esempio, prendendo in esame l’anno 2001 per il quale si può disporre di statistiche esaustive e assestate, se si considera la distribuzione dei magistrati ponendola in rapporto alla domanda di giustizia, definita come numero di procedimenti civili e penali pendenti e sopravvenuti nell’anno, risulta che – sempre in relazione alla media nazionale – vi sarebbe un eccesso di offerta di giustizia al Nord e un’offerta insufficiente al Sud. Il numero di magistrati per 1000 procedimenti risulta infatti del 35% superiore alla media nazionale nella media delle regioni del Nord e del 15% inferiore nella media delle regioni meridionali. Su questo risultato influisce notevolmente la diversa distribuzione territoriale dei procedimenti pendenti, che sono molti di più al Sud. Nel 2001 i procedimenti pendenti costituivano, infatti, il triplo circa dei procedimenti sopravvenuti nella media delle regioni settentrionali ed il quintuplo di quelli sopravvenuti nella media delle regioni meridionali. Se la domanda di giustizia viene invece misurata con i soli procedimenti sopravvenuti nell’anno, è al contrario il Sud a risultare dotato in misura maggiore. Risultati analogamente disorientanti si rinvengono se l’analisi viene svolta sul personale amministrativo. È evidente che tali indicatori semplici non danno segnali chiari. Il risultato cambia a seconda del parametro di valutazione (popolazione, carico di lavoro, domanda di giustizia)”.
3.2. Dall’analisi complessivamente svolta nel Libro Verde si desume che “confrontandoci con gli altri paesi e considerando la dinamica delle dotazioni totali di magistrati e collaboratori negli ultimi anni, non risultano vistose carenze strutturali dell’Italia sul fronte delle risorse umane”.
È tuttavia pure rilevato che “i risultati del sistema giudiziario sono invece ben inferiori a quelli esteri, bastando al riguardo considerare i tempi comparati nelle cause civili”, con la conseguenza che “esiste uno spazio promettente di intervento per spendere meglio, anche ignorando i problemi dell’ordinamento e restando sul terreno meramente organizzativo. Il principale tema da approfondire, alla ricerca di maggiore efficienza ed efficacia nella spesa per la giustizia, riguarda la dimensione degli uffici giudiziari. Elaborazioni svolte dalla Commissione Tecnica per la Spesa Pubblica del Ministero del Tesoro su dati disaggregati per singolo ufficio giudiziario e per tipo di materia
del contendere evidenziano l’esistenza nell’organizzazione giudiziaria di rilevanti economie
di scala non sfruttate. I risultati di tale analisi e di successivi approfondimenti svolti in letteratura portano a ritenere che un importante elemento di inefficienza dell’offerta di giustizia in Italia risieda nella dimensione troppo limitata degli uffici giudiziari. La produttività del magistrato risulta infatti crescente al crescere delle dimensioni del tribunale in cui opera e questo effetto è da attribuire oltre a diversi fattori organizzativi (migliore gestione del personale e delle attrezzature) a rilevanti economie di specializzazione. In un tribunale di grandi dimensioni il singolo giudice si occupa di un campo del diritto circoscritto. La ripetuta attività su una materia specifica – ad esempio controversie in materia societaria – consente uno sviluppo della formazione professionale del magistrato – attraverso un processo di crescita professionale per apprendimento sul campo (learning by doing) – che permette nel tempo di risolvere i casi con un impegno di lavoro via via decrescente. Il che equivale a dire che a parità di ore di lavoro impiegate il giudice diviene più produttivo. Tali economie di specializzazione non sono possibili nei piccoli tribunali, dove il giudice si occupa delle questioni più disparate. In queste sedi, infatti, lo stesso giudice decide in materia sia civile che penale. È infine da tenere in conto che la rilevanza delle economie di specializzazione è nel nostro ordinamento amplificata dal fatto che la crescita professionale dei magistrati fino ad oggi è stata affidata quasi esclusivamente alle esperienze maturate nel corso della carriera. Le analisi sopra citate, infine, evidenziano un segnale importante: quando le dimensioni degli uffici giudiziari divengono troppo elevate (impiegando un numero di magistrati superiore a 80) si riscontra una perdita di efficienza legata al sovradimensionamento, ma essa appare di gran lunga inferiore a quella che si ha nel caso di sottodimensionamento (numero di magistrati impiegati inferiore a 20). Il che non deve distogliere dalla ricerca della dimensione ottimale, ma induce a temere più l’errore per difetto che non quello per eccesso. Nel 1996 oltre l’85% dei tribunali era sottodimensionato.
L’introduzione del giudice unico di primo grado, prevedendo la fusione di tribunali e preture, ha comportato un recupero di efficienza (i tribunali sottodimensionati sono ora circa il 72%): si tratta di un risultato importante, ma ancora troppo modesto. Un maggiore recupero di efficienza sarebbe possibile introducendo una revisione della geografia giudiziaria volta ad accorpare gli uffici di minori dimensioni (le revisioni finora introdotte hanno aumentato e non diminuito il numero degli uffici). L’aspetto da approfondire nelle prossime analisi è dunque la valutazione dei margini di attuabilità di tale revisione, affinché esigenze di efficienza e di equità di trattamento dei cittadini insediati nelle diverse aree geografiche possano essere conciliate”.
3.3 Il 12 giugno 2008 la Commissione tecnica per la finanza pubblica, sempre in adesione alla richiesta del Ministro dell’Economia e delle Finanze, ha depositato la relazione concernente “La revisione della spesa pubblica- Rapporto 2008”, nella quale sono ribadite tutte le affermazioni di cui al Libro Verde del 2007, osservandosi in particolare che “L’attuale struttura territoriale dei tribunali civili è caratterizzata da un numero eccessivo di uffici giudiziari di dimensioni troppo limitate.
È opportuna una revisione della geografia giudiziaria volta ad accorpare gli uffici di minori dimensioni per realizzare economie di scale e di specializzazione attualmente non adeguatamente sfruttate. Una strategia alternativa meno efficiente rispetto alla prima, ma più facilmente percorribile, potrebbe consistere in una più spiccata specializzazione per materia degli attuali tribunali. La riforma, che non prevede dunque l’accorpamento dei tribunali, richiede una massiccia informatizzazione degli uffici per facilitare l’accesso a strutture anche geograficamente più distanti”.
4. Le possibili linee guida per la revisione delle circoscrizioni giudiziarie
4.1 Dal sintetico excursus sin qui compiuto emergono le complesse problematiche sottese alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, storicamente invocata dal Consiglio Superiore della Magistratura in ben sei risoluzioni, ed in questa sede ribadita, quale strumento imprescindibile per realizzare un sistema moderno ed efficiente di amministrazione della giustizia.
L’entrata in vigore, già da dieci anni, della riforma del giudice unico rende ormai improcrastinabile l’attuazione della revisione de qua; d’altra parte non sfugge che nella relazione accompagnatoria del d.d.l. delega sul giudice unico era testualmente affermato che l’unificazione degli uffici di primo grado costituiva “un primo, importante passo verso la razionalizzazione delle geografia giudiziaria, da attuare nel prossimo futuro, attraverso un più ponderoso intervento delle circoscrizioni giudiziarie. In questa prospettiva, la costituzione del giudice unico si imbatte in difficoltà minori, anche a livello locale, e può comunque rappresentare un utile momento di verifica delle esigenze e delle difficoltà che si porranno sul piano concreto indirizzando così, proficuamente, il successivo intervento normativo”.
4.2 Uffici giudiziari con organici limitati risultano disfunzionali, perché non in grado di assicurare una tempestiva risposta di qualità alla domanda di giustizia.
Infatti la complessità della legislazione vigente, come elaborata nell’ultimo ventennio, richiede necessariamente magistrati specializzati, seppure per aree tematiche omogenee. D’altra parte, anche l’attuazione della recente riforma ordinamentale ha oggettivamente realizzato una spinta nella direzione della specializzazione, così come si evince – ad esempio – dalla circolare sul conferimento degli incarichi semidirettivi del 30 aprile 2008. In essa, infatti, è affermato, con riguardo alle attitudini, che la pluralità di esperienze è un valore positivo nei primi anni di esercizio delle funzioni, contribuendo alla formazione di un variegato patrimonio professionale; nondimeno nel prosieguo della vita professionale viene valorizzata “la scelta di un percorso professionale maggiormente specializzato, e conseguentemente la conoscenza delle problematiche specifiche del settore in cui dovrà essere svolta la funzione semidirettiva”.
Nella medesima prospettiva si muove la circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari per il triennio 2009/2011, il cui paragrafo 21 dispone che “21.1 Nell’organizzazione degli uffici va favorito, oltre alla naturale ripartizione tra il settore civile
ed il settore penale, l’affinamento di competenze specialistiche per materie omogenee e predeterminate. Tali competenze specialistiche sono funzionali alla corretta applicazione della disciplina dell’art.19 del D.Lvo 160 del 2006 e del relativo Regolamento del C.S.M. 13
marzo 2008 in materia di permanenza massima nel medesimo incarico. 21.2 Per il perseguimento dei fini indicati al par.21.1, la costituzione di sezioni specializzate risulta essere il modello organizzativo più adeguato per garantire più qualificate professionalità, tale da rendere più efficace e celere la risposta all’istanza di giurisdizione. 21.3 I Tribunali
organizzati in più sezioni civili e/o in più sezioni penali devono prevedere modelli di specializzazione che accorpino materie in base ad aree omogenee, secondo le indicazioni della presente Circolare. 21.4 Per i Tribunali nei quali il numero di sezioni presenti per ciascun settore non consente l’accorpamento in base ad aree omogenee deve essere comunque attuata la specializzazione per gruppi di materia. 21.5 I criteri indicati nei precedenti par.21.3 e 21.4 si applicano anche alle Corti d’Appello”.
In attuazione delle medesime scelte organizzative, il paragrafo 22 prevede che “22.1 Nei Tribunali organizzati con una sola sezione civile ed una sola sezione penale, oltre la sezione G.I.P./G.U.P., è possibile istituire singoli ruoli specializzati cui sono attribuite specifiche materie, purché l’analisi dei flussi lo consenta. In tale ipotesi, alla scadenza del termine di permanenza massimo nella medesima posizione tabellare di cui al par.49, è possibile la permanenza all’interno della stessa sezione a condizione che il nuovo ruolo tratti materie diverse almeno per il 60 % del carico, in modo tale da determinare un effettivo e prevalente cambiamento della specializzazione che, compatibilmente con l’analisi dei flussi, deve essere tendenzialmente il più ampio possibile”.
A ciò si aggiunga che con l’introduzione del nuovo codice di procedura penale sono state configurate inedite incompatibilità processuali – il novero delle quali è stato, peraltro, notevolmente ampliato dalle sentenze della Corte Costituzionale – dirette a rafforzare l’attuazione del principio di imparzialità, con la conseguenza che il giudice è considerato portatore di un pregiudizio ogni qualvolta abbia compiuto determinati atti valutativi nel procedimento penale.
Per altro aspetto, proprio la già citata riforma dell’ordinamento giudiziario ha escluso che i magistrati ordinari all’esito del tirocinio possano esercitare funzioni requirenti ovvero funzioni giudicanti penali monocratiche ed ha, altresì, introdotto una serie di limitazioni anche geografiche con riguardo al mutamento da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa.
Tali previsioni rendono ancor più evidente l’inadeguatezza dell’attuale geografia giudiziaria, caratterizzata dalla capillare diffusione sul territorio di tribunali con organici ridotti.
Infatti, come più volte denunciato dal C.S.M., la combinazione dei limiti ai mutamenti di funzioni, unitamente al divieto di assegnazione dei nuovi magistrati alle procure, sta “portando verso un’intollerabile paralisi dell’attività d’indagine e dell’intera giurisdizione penale, a partire dalle sedi del sud e delle isole ma anche di alcune del nord, che poi si estenderà fatalmente dappertutto” (così il C.S.M. nella delibera del 29 luglio 2008, recante
“Studio delle problematiche inerenti al conferimento di funzioni, anche d’ufficio, previste dall’art. 12, co. 1, D.lvo 160/2006 in caso di esito negativo di due procedure concorsuali per inidoneità dei candidati o per mancanza di candidature, qualora sia ritenuta sussistente una situazione di urgenza che non consenta di procedere a nuova procedura concorsuale”).
Inoltre, il divieto di destinare i magistrati in prima nomina alle funzioni di G.I.P./G.U.P. ovvero di giudice monocratico penale determina serie difficoltà organizzative, perché impone
che la copertura dei relativi posti sia assegnata a giudici con oltre quattro anni di anzianità nel ruolo della magistratura in servizio presso l’ufficio, che potrebbero anche mancare in organico ovvero non essere in numero sufficiente rispetto alle esigenze determinate dal carico di lavoro.
4.4 Alle descritte criticità operative non può farsi fronte con i rimedi attualmente predisposti dall’ordinamento giudiziario, vale a dire con l’applicazione di cui all’art. 110 O.G. e con le tabelle infradistrettuali di cui all’art. 7 bis O.G.
Le attuali vacanze in pianta organica, soprattutto negli uffici requirenti, rendono di fatto scarsamente utilizzabile l’istituto dell’applicazione, che peraltro già di per sé è disciplinato da regole piuttosto complesse, e comunque la relativa operatività risulta difficoltosa e non celere.
Del pari le medesime vacanze, considerate congiuntamente ai notevoli carichi di lavoro, impediscono in concreto il funzionamento delle tabelle infradistrettuali, che si risolvono in una duplicazione dei ruoli per i magistrati interessati.
Pertanto, le strutture giudiziarie con organici ridotti, alla luce di tutte le considerazioni illustrate, si profilano inadeguate a rendere un efficace e tempestiva risposta di giustizia.
4.5 Le difficoltà maggiori riguardano il funzionamento dei tribunali ordinari, i quali presentano sia una dislocazione sul territorio piuttosto capillare, secondo criteri disomogenei e non al passo con lo sviluppo della società, sia organici non sempre ovvero non più adeguati a rendere un’efficiente risposta di giustizia, considerata in termini quantitativi e qualitativi.
Al riguardo é utile evidenziare, al fine di cogliere appieno la portata dei rilievi sopra formulati, che ad oggi ben 88 tribunali presentano un organico inferiore a venti unità, 59 tribunali hanno un organico tra venti e cinquanta e solo 18 tribunali vantano un organico superiore a cinquanta unità, come risulta dai prospetti allegati alla presente delibera.
Ne conseguono due diverse constatazioni. Per un verso, sono evidenti le difficoltà organizzative nei tribunali monosezionali con organici inferiori alle dieci unità, atteso che per un processo penale di competenza del giudice collegiale sono necessari – al fine di rispettare il citato sistema di incompatibilità – non meno di cinque giudici, vale a dire un G.I.P., un G.U.P. ed un collegio giudicante, e ciò con esclusivo riguardo ai magistrati titolari e fatta salva la possibilità che si renda necessario l’intervento di supplenti nel corso del procedimento (si pensi alle legittime assenze dei titolari per malattia o per ferie, che impongono la loro sostituzione per l’espletamento, quanto meno, degli atti urgenti). Dette difficoltà risultano ulteriormente aggravate laddove siano in servizio magistrati di prima nomina, in ragione dei limiti dettati dall’art. 13 D.Lgs. 160/2006.
Per altro verso, risulta altrettanto evidente che nei tribunali in oggetto non è di fatto possibile alcuna specializzazione dei magistrati in servizio, i quali sono chiamati obbligatoriamente a svolgere funzioni promiscue, con l’inevitabile detrimento anche della
loro produttività.
Come già nel passato evidenziato dal C.S.M. nonché sottolineato nel “Libro Verde sulla spesa pubblica”, la produttività del magistrato risulta crescente in funzione dell’aumento delle dimensioni del tribunale in cui opera; questo effetto “additivo” è da attribuire, oltre che a diversi fattori organizzativi (migliore gestione del personale e delle attrezzature), anche a rilevanti “economie di specializzazione”. In un tribunale di grandi dimensioni, il singolo giudice si occupa di un campo del diritto circoscritto ed è noto che la ripetuta attività su una materia specifica consente uno sviluppo della formazione professionale del magistrato, che permette nel tempo di risolvere i casi con un impegno di lavoro sempre decrescente.
4.6 È pure significativo che la proposta di rivedere la geografia giudiziaria sia stata formulata anche dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, giacché il necessario intervento sulle circoscrizioni consentirebbe di ottimizzare le risorse – economiche e di personale – destinate al settore giustizia.
L’amministrazione giudiziaria, infatti, come già rilevato dal C.S.M. nel citato parere dell’8 maggio 1991, “è un sistema aperto, che esiste in funzione della società civile e del mondo economico, nei confronti dei quali le interazioni sono numerose.
Dalla società civile e dal mondo economico deve recepire suggerimenti, stimoli ed esperienze”.
Le considerazioni svolte con riguardo ai tribunali mantengono piena validità, mutatis mutandis, per tutti gli uffici giudiziari; conseguentemente, andrebbero individuati per ciascuna tipologia di ufficio criteri oggettivi di accorpamento o di soppressione.
Per tale individuazione risulta mantenere piena attualità quanto dal C.S.M. già rilevato con le delibere approvate nel 1994 e nel 1998, sopra diffusamente illustrate, nelle quali sono indicati tendenzialmente alcuni indici che mantengono ancora oggi la loro assoluta utilità per procedere ad uno studio propedeutico alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie.
4.7 Unitamente alla evidenziata necessità di rivedere la geografia giudiziaria, va svolta una riflessione anche sulle dimensioni strutturali degli uffici giudiziari, al fine di rimodulare gli stessi secondo criteri di efficienza.
Alla luce di quanto compiutamente illustrato nei paragrafi precedenti e delle valutazioni fino ad ora compiute, emerge la difficoltà nell’individuare in astratto la tipologia ideale di pianta organica degli uffici giudiziari; d’altra parte in questo senso ha più volte concluso anche il C.S.M., il quale, nel pronunciarsi sul tema in oggetto, ha proposto l’adozione di criteri tendenzialmente oggettivi per la localizzazione degli uffici giudiziari, senza con ciò identificare meccanicisticamente quale dovesse essere la loro dimensione ottimale.
Ciò nondimeno, l’analisi fin qui effettuata consente di ritenere, ad esempio, che per i tribunali ordinari di primo grado sia necessario prospettare piante organiche che vadano dalle venti alle quaranta unità, fatti salvi gli appropriati correttivi.
Nell’individuazione dell’indicato parametro dimensionale si è tenuto conto che l’efficienza del sistema è intimamente collegata alla specializzazione delle funzioni, imposta dalla crescente complessità delle materie sul piano dello stesso diritto positivo, e che vanno assicurate le ricordate garanzie processuali in tema di imparzialità del giudice.
Pertanto, appare opportuno articolare ogni tribunale in distinte sezioni, civili e penali, nonché prevedere sempre una sezione G.I.P./G.U.P. ed una sezione competente in materia di esecuzioni forzate e di fallimenti.
4.8 Nella medesima prospettiva di segnalazione al Ministro della Giustizia delle possibili linee di intervento, vanno ribadite le conclusioni raggiunte dall’Organo di autogoverno in tema di localizzazione degli uffici giudiziari e, segnatamente, in ordine alla irrinunciabile presenza di un tribunale ordinario in ogni capoluogo di provincia, fermi restando i necessari correttivi da adottarsi avendo presente che vi sono aree maggiormente interessate dal fenomeno della criminalità organizzata ovvero da una peculiare densità imprenditoriale e commerciale, per le quali è indispensabile garantire il presidio sul territorio di un tribunale.
A completamento della riflessione svolta sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, deve altresì evidenziarsi l’opportunità di svolgere un’attenta analisi relativa al mantenimento nonché al dislocamento delle sezioni distaccate di Tribunale e di Corte di Appello, tenuto conto del mutato quadro di infrastrutture oggi esistente, che sembrerebbe non più giustificare la frammentazione capillare degli uffici giudiziari.
In conclusione, il Consiglio Superiore della Magistratura. nell’ottica di una leale collaborazione istituzionale, ritiene doveroso segnalare al Ministro della Giustizia l’assoluta ed imprescindibile necessità di attivare una proposta legislativa diretta a rivedere le circoscrizioni giudiziarie.
La revisione delle circoscrizioni giudiziarie costituisce, infatti, a parere del C.S.M., lo strumento indefettibile per realizzare un sistema moderno ed efficiente di amministrazione della giurisdizione, che sia in grado di fornire la dovuta risposta di merito alle istanze di giustizia, nel rispetto di tempi ragionevoli di durata del processo, nella consapevolezza che il ritardo nel giungere alla decisione si risolve in un diniego di giustizia.».
La presente proposta viene trasmessa al Ministro della giustizia.
Approvata all’unanimità il 13.01.2010 dal plenum del CSM, su proposta della VI Commissione
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(Fasc. 30/RI/2009)
Un pensiero riguardo “La Geografia Giudiziaria: la Revisione delle Circoscrizioni Giudiziarie. La proposta della Sesta Commissione del Consiglio Superiore della Magistratura.”