Open data: i dati aperti, trasparenza nella P.A. e sviluppo economico

Il 24 maggio 2010, presso la sede del Partito Radicale, è stato tenuto un seminario dal titolo “Gli Open Data, la loro utilità dal punto di vista giuridico” tenuto dall’Avv. Ernesto Belisario e da Gigi Cogo, cui hanno partecipato, fra gli altri: Diego Galli (responsabile del sito internet di Radio Radicale), Mario Staderini – segretario (Radicali Italiani), Rita Bernardini – deputato (PD – Radicali), Marco Perduca – senatore (PD – Radicali), Biagio Celi – responsabile comunicazione di Agorà Digitale; Rocco Berardo – consigliere della Regione Lazio (Lista Bonino-Pannella); Piero Bonano – tesoriere dell’Associazione Radicali Roma.

Vogliamo subito riproporre qui sotto il video dell’intervento dell’Avv. Belisario – pubblicato (con licenza Creative Commons attribuzione 2.5.) sul sito di Radio Radicale – dicendo sin da adesso che vale davvero la pena trovare 50 minuti circa per vederlo, sia per la chiarezza espositiva, sia per i numerosi esempi che rendono la presentazione profondamente attuale e concreta.

Per chi poi dovesse essere essere interessato, di seguito vi sono gli interventi e le domande degli altri partecipanti che arricchiscono il seminario con delle vere e proprie questioni concrete approfondendo il dibattito sul tema.

http://www.radioradicale.it/swf/fp/flowplayer.swf?30105&config=http://www.radioradicale.it/scheda/embedcfg/304379?30105

Di seguito vogliamo fare un breve riassunto del seminario e delle tematiche trattate, inserendo qua e là alcune considerazioni.

In calce una serie di link.

Open Data: di cosa stiamo parlando?

Dati aperti - WikipediaQuesta domanda è il punto di partenza dell’analisi effettuata dall’Avv. Belissario, in una materia dove regna spesso troppa confusione.
Ovviamente ci riferiamo, in particolar modo, ai dati (di qualunque genere: meteorologici, geologici, politici, culturali, etc.) detenuti dalla P.A. (ma anche dagli Enti pubblici come fondazioni, Università, biblioteche, etc.).

Open Data tradotto in italiano vuol dire dati aperti, ovvero dati che, secondo una generale indicazione, devono essere:
Completi, primari, tempestivi, accessibili (anche nell’accezione di indicizzati dai motori di ricerca), leggibili da computer, non discriminatori, non proprietari, liberi e gratuiti.

Tali caratteristiche risultano essenziali affinché il dato sia davvero utilizzabile e, quindi, produttivo di tutti quei benefici in ambito sociale ed economico.

Perché è importante che i dati siano aperti?

Ovviamente ci riferiamo, in particolar modo, ai dati detenuti dalla P.A. (ma anche dagli Enti in qualunque modo riferibili alla P.A. come fondazioni pubbliche, Università, biblioteche, etc.).
Il dato aperto risponde, innanzi tutto, a due generali principi: 1) trasparenza nella attività della P.A., 2) partecipazione (e controllo) del cittadino nell’attività sociale. In modo tale – come viene più volte ribadito nell’esposizione – che venga ribaltato il rapporto tra amministrazione e cittadino: quest’ultimo da soggetto passivo diventa soggetto attivo, fruitore e produttore di servizi, mettendo in moto un circolo virtuoso le cui refluenze si diramano sino al campo economico (anche in modo rilevante).

In tal senso i vantaggi dati dalla corretta liberalizzazione dei dati sono di triplice natura:

  1. La P.A. migliora nella sua attività (trasparenza, efficienza ed economicità).
    E’ evidente che il dato, reso pubblico, consente di verificare i risultati della P.A. ed, in tal senso consente un generale controllo diffuso della efficienza dell’operato dell’amministrazione pubblica. Inoltre, l’amministrazione opererebbe secondo criteri di economicità evitando tutti quegli sprechi dovuti alla mancanza di comunicazione fra le varie amministrazioni che tengono i datti protetti.
    Nell’analisi effettuata dall’Avv. Belisario, in tal senso, vengono fatti numerosi esempi di sprechi, fra cui:
    la duplicazione delle informazioni geografiche (amministrazioni che commissionano più volte le mappe di uno stesso luogo poiché non a conoscenza che le medesime mappe sono detenute da altra amministrazione), lo spreco di tempo e di denaro causato dal fatto che i fornitori della P.A. non forniscono le informazioni commissionate e richieste in formato digitale.
  2. Gli open data producono tangibili, rilevanti e sostanziali benefici in campo culturale, sociale ed economico.
    In particolar modo preme evidenziare che con i dati detenuti dalla P.A. è possibile da parte di chiunque (a maggior ragione da parte di professionisti, imprenditori, programmatori, finanche dal privato cittadino) fare del concreto e sano business. Il dato aperto deve essere, infatti, liberamente riutilizzabile. Sul punto, abbiamo rilevato l’inadeguatezza del DECRETO LEGISLATIVO 24 gennaio 2006, n. 36 attuativo della direttiva 2003/98/CE relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico anche di recente in questo articolo.
    E’ stimato che ogni anno l’Italia perde 19 mld. di euro a causa dell’ignoranza informatica (rapporto della Commissione Europea), ma cosa ancor più grave – se è possibile come sottolinea Belisario – è il fatto che secondo il rapporto del World Economic Forum, su 134 paesi censiti l’importanza che le nuove tecnologie hanno nell’azione del governo siamo al 110° posto, mentre come sistema paese sull’ITC siamo al 48° (anche se in 2 anni abbiamo perso 6 posti). Questo spread (110° posto /48° posto) è indicativo del fatto che il sistema imprenditoriale è più avanti delaa P.A. la quale risulta una vera e propria palla al piede.
    In tal senso il dato libero oltre che essere fonte immediata di quell’economia dell’immateriale (tutti: imprenditori, professionisti, ricercatori posso fare del concreto business con i dati, ed in tal senso vengono citati molti esempi), di per sé dal punto di vista macroeconomico la liberalizzazione dei dati produce immediatamente effetti benefici e rilevanti per il sistema paese che meriterebbero essere misurati in termini di PIL.
  3. I dati detenuti dalla P.A. devono essere realmente aperti e correttamente fruibili da tutti perché noi tutti gli abbiamo già pagati.
    Sul punto c’è poco da dire, se non il fatto che è necessario prendere coscienza che il dato pubblico è di tutti e deve essere restituito in quanto ottenuto con il contributo (le tasse) di tutti. Tale ragionamento segna un notevole cambio di prospettiva del rapporto tra P.A. e soggetto (non diciamo cittadino perché anche a chi non ha la cittadinanza italiana e che lavora e vive in Italia deve essere riconosciuto il diritto).
    Tale beneficio non è sottovalutare: si tratta di ristabilire quel collante che deve esistere tra la società nel suo complesso, aiuta ad avvicinare e a colmare il distacco oggi sempre più evidente tra la popolazione alle istituzioni responsabilizzando gli uni e gli altri, implementa l’azione di governo.

La materia dei dati aperti trova quindi il suo naturale sbocco e concreta applicazione nell’attività di governo ed amministrativa. Stiamo parlando del c.d. Open Government, definito così in questo articolo pubblicato su Apogeonline: “una dottrina secondo cui l’amministrazione deve esserApps for Democracye trasparente a tutti i livelli e consentire un controllo continuo del proprio operato mediante l’uso delle nuove tecnologie”. Nel medesimo articolo trovate i link a molti esempi di Open Gov (USA, Regno Unito, Australia, etc.).

Quali sono gli ostacoli in ordine ai Dati Aperti

Oltre ad una generale riluttanza da parte delle P.A. a fornire i dati un modo aperto dovuto alla perdita di posizioni (illegittimamente ed irragionevolmente) acquisite (basti pensare all’accumulo di potere in capo ai funzionari amministrativi per detenzioni dei dati in loro possesso), l’Avv. Belisario evidenzia 3 ordini di ostacoli:

  • Privacy;
  • Copyright;
  • Normativo.

Lungi dal volerci soffermare su ognuno di essi, per i quali rimandiamo al filmato, merita essere rimarcata la differenza tra il sistema legale italiano e quello tipico dei paesi di Common Law che si sostanzia nella differenza esistente tra l’interesse legittimo (Need to Know, ovvero, l’interesse ad avere accesso ai documenti amministrativi, così come normato dalla Legge n. 241/1990) ed il diritto a conoscere (Right to Know).

Cosa vuol dire: citiamo nuovamente questo articolo comparso su TANTO: Nessun dato sui terremoti: il problema è risolto dove ci domandavamo: Il Presidente dell’INGV può decidere autonomamente di precludere l’accesso pubblico ai dati raccolti dall’Istituto?
Aldilà delle considerazioni e dei ragionamenti effettuati per aver acceso ai dati in Italia è necessario dimostrare di avere un interesse personale e concreto in relazione alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, mentre nei paesi anglosassoni è previsto che è un diritto del cittadino avere accesso ai dati.

Non possiamo non ricordare una rilevante Sentenza della Corte Suprema dello Stato dell’Arizona (LAKE V. CITY OF PHOENIX): partendo dal presupposto che i dati sono pubblici, si arriva ad enunciare addirittura il principio di diritto secondo cui anche i i metadati sono pubblici, sono parte integrante del documento informatico e possono essere presentati come prova.

Ulteriori ostacoli con riferimento alla realizzazione degli open data sono costituiti dalla mancanza nell’ordinamento italiano di una norma apposita che obblighi la P.A. ad operare in tal senso.
Infatti, l’Art. 97 della nostra Costituzione dispone che:” I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione“.

Ne discende che chi all’interno della P.A. realizza Open Data – come nota l’Avv. Belisario – lo fa a titolo di volontariato non essendovi una norma regionale o statale in tal senso.
E’ chiaro che potremmo discutere sul punto con riferimento alla seconda parte dell’inciso di cui all’art. 97 (“buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione”) ed anche con riferimento al principio di cui all’art. 3 della Costituzione (uguaglianza formale e sostanziale) in relazione alle possibili differenze di trattamento e discriminazioni tra cittadini di città/regioni/provincie altamente informatizzate, in cui si fa un uso massivo di dati aperti, e cittadini di zone, per così dire, arretrate.

In tal senso possiamo fare subito un esdati piemonteempio con riferimento ad una regione come il Piemonte la quale sta cominciando a rilasciare i dati in formato libero e grezzo : dati.piemonte.it e regioni (come ahimè la Sicilia) nella quale si può dire di essere ancora all’età della pietra. In tal senso si avrebbe una discriminazione fondata sul digitale.

Non possiamo non ricordare come, ad esempio a livello normativo, lo Statuto della Regione Toscana all’articolo 54 prevede che “tutti hanno diritto di accedere senza obbligo di motivazione ai documenti amministrativi, nel rispetto degli interessi costituzionalmente tutelati e nei modi previsti dalla legge”.In tal senso viene radicalmente modificato il concetto di interesse legittimo, superando anche le ulteriori classificazioni in interessi collettivi e di interessi diffusi, per giungere ad un vero proprio diritto soggettivo nei confronti della P.A. alla conoscenza.

Anche se il Codice dell’Amministrazione Digitale a partire dal 2005, all’art. 50, ha introdotto un importante principio di disponibilità del dati pubblici disponendo che gli stessi devono essere formati, conservati, resi accessibili e disponibili con l’uso delle ICT, non v’è dubbio, ad avviso dello scrivente, che tali norme non sono sufficienti a garantire un effettivo accesso ai dati e, sebbene sia di fatto una strada impervia, quella della legge (nazionale o regionale) è sicuramente l’unica strada per arrivare ad una reale, concreta, libera ed aperta diffusione dei dati (si potrebbe sperare anche in una direttiva europea)

Come implementare la realizzazione di dati aperti, liberi e grezzi

Come detto il punto di partenza è sicuramente una norma impositiva, tuttavia per non rimanere immobili ed aldilà delle possibili petizioni in tal senso, l’Avv. Belisario individua alcuni punti:

  • Richiedere che la P.A. operi secondo protocolli standardizzati;
  • Come sopra detto la P.A. dovrebbe pretendere contrattualmente dai propri fornitori che tutte le informazioni acquisite in base ad contratti ed appalti (pareri, carte geografiche,studi, etc.) siano rese in formato digitale ed in formato aperto;
  • Civil hacking: Ognuno di noi può contribuire all’apertura dei dati. Vi sono diversi esempi come Open Street Map e Open Camera.
    Si tratta anche di indire dei contest a premi, nei quali gli sviluppatori (ed anche i cittadini) realizzino applicazioni di utilità sociali.
    Per comprendere la forza propulsiva di un contest, ricordiamo che per implementare lo sviluppo di applicazioni per Android, Google aveva indetto un contest (concorso) a premi il cui ammontare totale di questi ammontava a 10 milioni di dollari. Dal concorso risultarono esclusi i programmatori residenti in alcune nazioni tra cui l’Italia per via della legislazione locale sulle vincite a premi. Oggi l’Android Market è il principale concorrente dell’Apple Store (che al gennaio 2010 contava circa 140.000 applicazioni). Il progetto Android nasce nel 2007 e nel 2009 l’SDK fu aggiornato alla versione 1.1. All’aprile 2010 l’Android Market contava più di 40.000 applicazioni (gratuite ed a pagamento). Su AndroidLib potete trovare alcune statistiche che dimostrano la continua (ed impressionante) crescita dello Store.
    Research2guidance (una agenzia di ricerca) ha stimato che il mercato complessivo delle app potrebbe crescere sino ad arrivare a 15 miliardi di dollari entro il 2013 (Global app developer survey: Android overtakes Apple and offers the highest business potential in 2013 of all mobile platforms).Ora, ci domandiamo: cosa potrebbe accadere se, con un po’ di fantasia, un contest di questo genere fosse organizzato dalla P.A.? Cosa potrebbe accadere nella società, nella cultura, nella politica, nell’economia?

Link

Perché il Link? Perché i dai devono essere linkabili…

Vogliamo inserire una serie di spunti, messi un po’ alla rinfusa

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Un pensiero riguardo “Open data: i dati aperti, trasparenza nella P.A. e sviluppo economico

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