La Sentenza della Corte Costituzionale n. 341/2007, (qui per il testo integrale) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 , sollevata, con riferimento agli artt. 1, 3, 70, 76 e 77 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Catania.
In particolar modo è stata stabilita la piena legittimità dell’art. 25, c. 2°, del decreto legislativo 04/08/1999, n. 342, che aggiunge il c. 2° all’ art. 120 del decreto legislativo 01/09/1993, n. 385. In Tal senso, con riferimeto alle Banche e agli Istituti di Credito, ed in relazione alla materia anatocistica bancaria, è stata ritenuta conforme l’attribuzione al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio del potere di stabilire modalità e criteri per la capitalizzazione periodica, in condizioni di reciprocità, degli interessi maturati nelle operazioni in conto corrente. Conseguentemente debbono ritenersi valide le clausole anatocistiche successive all’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000 e ad essa conformi. La denunciata esorbitanza dai principi dettati dalla legge 142/1992 in attuazione della direttiva del Consiglio 89/646/CEE è stata considerate non fondata.
Sommario:
A. I fatti di causa
B. Le questioni di Costituzionalità
A. I fatti di causa.
Il Tribunale ordinario di Catania era stato chiamato a giudicare in una causa civile nella quale un correntista aveva convenuto in giudizio la Unicredit Banca S.p.A. con un’azione di risarcimento del danno.
La convenuta banca, a sua volta, aveva spiegato domanda riconvenzionale, chiedendo la condanna dell’attore al pagamento di una somma di danaro pari allo scoperto del conto corrente di corrispondenza a lui intestato al 14 novembre 2003, oltre ai successivi maturandi interessi.
Il Tribunale ordinario, quindi, invitava le parti a dedurre in ordine alla operatività sul rapporto controverso della circolare del CICR del 9 febbraio 2000 in relazione a quanto previsto dall’art. 1283 del codice civile. Sollecitato sul punto l’istituto bancario precisava che il rapporto in questione era disciplinato dalle condizioni contrattuali sottoscritte il 29 novembre 2000.
Il Giudice di merito, osservava che, poiché il rapporto bancario dedotto in giudizio era sorto il 29 novembre 2000, rientrava nella «area di applicabilità della norma in questione».
Il consolidato orientamento giurisprudenziale, in base al quale negata la natura normativa degli usi bancari che consentivano la capitalizzazione anatocistica degli interessi dovuti dal cliente, portava a rilevare la nullità delle clausole che prevedevano tale metodo di calcolo degli interessi in assenza della previsione contenuta nell’art. 25, c. 2° del decreto legislativo 04/08/1999, n. 342.
B. Le questioni di Costituzionalità
Il Tribunale ordinario di Catania, quindi, sollevava, con riferimento agli artt. 1, 3, 70, 76 e 77 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 25, comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342 (*¹) (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), con il quale sono state apportate modifiche all’art. 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (*²) (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).
In tal senso il Giudice remittente osservava, preliminarmente, che l’articolo sottoposta al vaglio della Consulta (l’art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 342 del 1999) era stato emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 1, comma 5, della legge 24 aprile 1998, n. 128 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dalla appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 1995-1997).
Quest’ultima disposizione consentiva al Governo di emanare disposizioni integrative e correttive del d.lgs. n. 385 del 1993, nel rispetto dei principi direttivi già contenuti nella precedente legge delega 19 febbraio 1992, n. 142 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria per il 1991).
Le censure del Tribunale remittente
Poste tali basi, il Tribunale riteneva che la questione di maggior rilievo consistesse nel valutare se l’introduzione nel nostro ordinamento dell’anatocismo bancario, in deroga al divieto contenuto nell’art. 1283 cod. civ., possa trovare copertura, ai sensi dell’art. 76 Cost., nei “principi e criteri direttivi” contenuti nella legge-delega.
Veniva specificato, quindi, proprio con riferimento all’art. 76 Cost., che i criteri indicati dalla norma di delega esulano dalle tematiche relative alle modalità di produzione degli interessi in ambito bancario. Inoltre il criterio di chiusura non riguardava il tema dell’anatocismo, ma concerneva il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’accesso e all’esercizio dell’attività creditizia, al fine di salvaguardare la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi in tale settore.
Altro profilo di incostituzionalità riguardava, secondo il remittente, l’art. 3 della Costituzione.
Infatti, il censurato art. 25 avrebbe introdotto un’ingiustificata disparità di trattamento fra quanti, intrattenendo rapporti con istituti di credito, non possono giovarsi della nullità delle clausole anatocistiche ai sensi dell’art. 1283 cod. civ., e quanti, invece, stipulando contratti con soggetti diversi, sono tutelati da tale ultima disposizione.
Sempre con riferimento all’art. 3 Cost. veniva evidenziata una ulteriore ingiustificata disparità di trattamento dovuta alla diversità di disciplina applicabile ai contratti bancari in funzione del fatto che gli stessi siano sorti prima o dopo la delibera del CICR 9 febbraio 2000 (i primi viziati da nullità, i secondi validi).
In ultimo il Tribunale di Catania censurava l’art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 342 del 1999 anche per contrasto con gli artt. 1, 70, 76 e 77 della Costituzione.
In tal senso veniva evidenziato che la legge deve orientare, con criteri sufficientemente precisi e dettagliati, l’esercizio del potere regolamentare, cosa non fatta dalla norma censurata, la quale detta solo il criterio secondo il quale, nelle «operazioni di conto corrente» deve essere assicurata la medesima periodicità di computo degli interessi, sia per il cliente che per la banca.
I rilievi della Corte Costituzionale
La Consulta nell’entrare nel merito non ritiene fondata la questione di costituzionalità.
Con specifico riferimento all’art. 76 della Costituzione, la Corte rileva che:
«Secondo i principi più volte affermati, (…) il sindacato di costituzionalità sulla delega legislativa postula che il giudizio di conformità della norma delegata alla norma delegante si esplichi attraverso il confronto tra due processi ermeneutici paralleli: l’uno relativo alle norme che determinano l’oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla delega, tenendo conto del complesso di norme in cui si collocano e delle ragioni e finalità poste a fondamento della legge di delegazione; l’altro relativo alle norme introdotte dal legislatore delegato»
Tale ragionamento espresso nella Sentenza n. 54 del 2007, è stato ripreso nella Sentenza 340/2007 commentata nell’articolo del 2 novembre 2007 attinente la questione di costituzionalità dell’art. 13, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia).
La Corte si è mossa nel solco di un orientamento già consolidato affermando che «Se l’obiettivo è quello della coerenza logica e sistematica della normativa, il coordinamento non può essere solo formale (…). Inoltre, se l’obiettivo è quello di ricondurre a sistema una disciplina stratificata negli anni, con la conseguenza che i principi sono quelli già posti dal legislatore, non è necessario che sia espressamente enunciato nella delega il principio già presente nell’ordinamento, essendo sufficiente il criterio del riordino di una materia delimitata» (Sentenza n. 53 del 2005).
In sostanza la Corte ha ritenuto compatibile con l’art. 76 Cost. l’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante.
Per fondare il giudizio di legittimità Costituzionale della norma in questione alla luce dell’art. 76 Cost., la Corte Costituzionale ha dovuto analizzare, dal punto 2.3 al 2.9 del Considerato in diritto della sentenza, l’oggetto della delega e riprendere cronologicamente l’iter legislativo ed il tessuto normativo del censurato art. 25 del d.lgs. n. 342 del 1999, anche alla luce della Direttiva del Consiglio 89/646/CEE.
In tal senso è stato ritenuto che «oggetto della delega era, dunque, la modifica, mediante integrazioni e correzioni, del d. lgs. n. 385 del 1993, nel rispetto dei principi e criteri direttivi previsti dall’art. 25 della legge n. 142 del 1992. Quest’ultima disposizione conferiva, a sua volta, due distinte deleghe legislative, da esercitarsi in successione cronologica».
La prima delle due deleghe faceva riferimento all’attuazione della direttiva del Consiglio 89/646/CEE del 15 dicembre 1989 (art. 25, comma 1).
La seconda riguardava l’emanazione di un testo unico delle disposizioni attuative della direttiva e di quelle altre necessarie per l’adeguamento normativo alla medesima (art. 25, comma 2).
Il legislatore delegato, quindi, con l’art. 25, comma 2, del decreto legislativo n. 342 del 1999, ha inserito nell’art. 120 del T.U. bancario n. 385 del 1993, il comma 2 (*¹). Tale disposizione prevede:
a) che possono essere stabiliti «modalità e criteri» per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni bancarie così presupponendo, in tale ambito contrattuale, la liceità dell’anatocismo bancario;
b) che il soggetto cui è demandato il compito di fissare tali «modalità e criteri» è il CICR;
c) che, in ogni caso, non può essere stabilita una diversa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori.
Al punto 2.6 della sentenza, la Corte, riprendendo la Direttiva 89/646/CEE ed il suo relativo recepimento nell’ordinamento italiano ad opera del decreto legislativo n. 481 del 1992, rileva che il significato da attribuire all’espressione «deve essere adottata ogni altra disposizione necessaria per adeguare alla direttiva del Consiglio 89/646/CEE la disciplina vigente per gli enti creditizi autorizzati in Italia» deve essere necessariamente ampio:
“cioè di intervenire per disciplinare le ipotesi in cui, con riferimento ad alcuni istituti, vi potevano essere motivi di contrasto o, comunque, di disarmonia tra l’ordinamento italiano e quello comunitario, verificando se potevano ancora individuarsi ostacoli alla piena realizzazione del principio di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi”.
A questo punto la Corte, rilevato che:
il sedicesimo “considerando” del preambolo prevedeva che «gli Stati membri [dovessero] vigilare affinché non vi [fosse] alcun ostacolo a che le attività ammesse a beneficiare del riconoscimento reciproco [potessero] essere esercitate allo stesso modo che nello Stato membro d’origine, purchè non [fossero] incompatibili con le disposizioni legali di interesse generale in vigore nello Stato membro ospitante»;
e che:
tra le attività che, ai sensi della direttiva, beneficiavano «del mutuo riconoscimento» erano previste (punto 1 dell’allegato) la «raccolta di depositi o di altri fondi rimborsabili» e (punto 2 dell’allegato) le «operazioni di prestito», ne derivava che la questione dell’anatocismo bancario assumeva rilievo ai fini della definizione delle regole cui si dovevano attenere in Italia gli enti creditizi degli altri Paesi membri;
compie una analisi delle legislazioni in tema di anatocismo degli altri stati membri, giungendo alla conclusione che:
Nei principali Stati che allora costituivano l’Unione la disciplina prevista in materia di anatocismo per il sistema bancario o, più in generale, per le attività di natura commerciale (o in cui una delle parti fosse un istituto di credito) era diversa da quella prevista nei rapporti di diritto civile.
In particolar modo merita di essere sottolineato l’excursus normativo effettuato, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità (5 ottobre 2004, causa C–442/02, Caixa Bank France contro il Ministero dell’economia, delle finanze e dell’industria francese):
in Francia, l’art. 1154 code civil che, pur non vietandolo in assoluto, poneva forti restrizioni all’anatocismo (limitando, in via generale, all’anno il periodo di riferimento per il consolidamento degli interessi), non si applicava ai conti correnti bancari; in Germania, il § 355 HGB (applicabile negli accordi di conto corrente quando uno dei due contraenti era un istituto di credito) derogava il generale divieto di anatocismo previsto dal § 248 BGB; nel Regno Unito la no interest rule era, nell’ambito del diritto bancario, soverchiata da eccezioni che traevano il fondamento nel principio, di common law, di piena libertà delle parti nello stabilire contrattualmente i termini e le condizioni del rapporto obbligatorio; in Spagna, l’art. 317 del còdigo de comercio, richiamato dall’art. 1109 del còdigo civil, prevedeva per i «negozi commerciali» una disciplina che consentiva per le operazioni realizzate dagli enti creditizi il cosiddetto «anatocismo convenzionale». Analoghe a quelle della Germania e della Francia erano le discipline previste, rispettivamente, in Austria e nel Belgio.
La conclusione sul punto a cui arriva la Corte è che la questione relativa alla capitalizzazione degli interessi nell’esercizio del credito bancario, per la quale vi erano nei principali Stati dell’Unione normative divergenti rispetto a quella che in Italia si era consolidata dopo la nuova lettura dell’art. 1283 cod. civ. da parte del giudice di legittimità, nonché, nel caso l’anatocismo bancario fosse stato ritenuto lecito, la relativa periodizzazione, rientravano nell’ambito delle attività di adeguamento che il legislatore delegante aveva demandato al legislatore delegato.
Nei punti 3.1 sino al 3.3, la Corte Costituzionale, infine, liquida brevemente le rimanenti questioni sottoposte al suo vaglio, circa la disparità di trattamento derivante dalla diversa disciplina applicabile, osservando che non contrasta di per sé con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento, pur applicato a una medesima categoria di soggetti, se riferito a momenti diversi del tempo, poiché proprio il fluire stesso del tempo costituisce un elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche.
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Note
1* Art. 25. comma 2, del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342
Modalita’ di calcolo degli interessi
2. Dopo il comma 1 dell’articolo 120 t.u. e’ aggiunto il seguente:
“2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”.
2* Art. 120 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385
Decorrenza delle valute
1 .gli interessi sui versamenti presso una banca di denaro, di assegni circolari emessi dalla stessa banca e di assegni bancari tratti sulla stessa succursale presso la quale viene effettuato il versamento sono conteggiati con la valuta del giorno in cui è effettuato il versamento e sono dovuti fino a quello del prelevamento.