Il Tribunale di Palermo con la sentenza n. 466/09 coglie l’occasione per effettuare alcune distinzioni in tema di clausola risolutiva espressa e condizione risolutiva.
Il caso sottoposto al giudice nasce da una “vendita obbligatoria” di quote di una S.r.l. successivamente perfezionatasi con il subentro di un nuovo socio. Tuttavia nel detto atto di compravendita con effetti obbligatori di quote era inserita la seguente clausola:
““La Sig.ra A dichiara, che il Sig. B non dovrà rispondere né di eventuali debiti societari, che saranno dalla stessa azzerati prima dell’approvazione del bilancio 2004, né parteciperà ai crediti societari ad oggi maturati che rimarranno di sua esclusiva pertinenza.
La presente scrittura privata, impegna entrambe le parti al rispetto di quanto convenuto nel presente atto e, in forza del presente accordo, qualora o per motivi non imputabili ad entrambe le parti o in caso di riscontri non veritieri a quanto sopra convenuto, le somme che il Sig. B si obbliga a versare alla Sig.ra A, saranno dalla stessa restituite al Sig. B comprensive di interessi legali e nella stessa modalità e tempi di come sono state percepite”.
Il mancato ripianamento dei debiti sociali entro i termini pattuiti ha fatto nascere la questione sottoposta al vaglio del giudice il quale effettua l’interpretazione della clausola in esame sotto la forma di clausola risolutiva espressa differenziandola dalla condizione risolutiva:
“Quella di specie deve qualificarsi come clausola risolutiva espressa. Difatti, i contraenti hanno convenuto espressamente che il contratto si risolva qualora una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalitàstabilite, rifacendosi proprio allo schema previsto dall’art. 1456 c.c. A differenza della condizione, laddove l’evento futuro e incerto non attiene a singole obbligazioni, nello schema dell’art. 1456 c.c. le parti devono indicare specificatamente quale o quali sono le obbligazioni che devono essere adempiute a pena di risoluzione“.
Di seguito la sentenza pubblicata su Scribd (è possibile effettuare il download direttaemnte dal sito). Successivamente alcune considerazioni in tema di clausola risolutiva espressa e condizione risolutiva.
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L’interpretazione di tale clausola secondo lo schema della clausola risolutiva espressa è sicuramente la soluzione più corretta ad avviso dello scrivente (che è stato parte nel giudizio in esame).
Per completezza difensiva è stato inserita negli atti di causa anche la possibilità di qualificare la detta clausola secondo lo schema della condizione: la differenza non è di poco momento, considerando che la clausola risolutiva espressa, disciplinata dall’art. 1456 c.c. presuppone un inadempimento colpevole, mentre la condizione risolutiva ex art. 1353 e ss c.c., opera al solo verificarsi dell’evento cui le parti hanno subordinato l’esaurirsi degli effetti del negozio.
L’interpretazione secondo lo schema della Clausola risolutiva espressa
L’esplicita pattuizione inserita nel contratto (si trattava di un ipotesi di vendita obbligatoria), statuiva che:
“(…) qualora o per motivi non imputabili ad entrambe le parti o in caso di riscontri non veritieri a quanto sopra convenuto, le somme che il Sig. B (acquirente) si obbliga a versare alla Sig.ra A (venditrice), saranno dalla stessa restituite al Sig. B comprensive di interessi legali e nella stessa modalità e tempi di come sono state percepite”.
Tale dizione implica, evidentemente, che le parti hanno voluto inserire esplicitamente una giusta causa di risoluzione del contratto da rinvenirsi proprio nella prima parte dell’inciso:
“La Sig.ra A dichiara, che il Sig. B non dovrà rispondere né di eventuali debiti societari, che saranno dalla stessa azzerati prima dell’approvazione del bilancio 2004 (…)”.
Secondo l’art. 1456 c.c. i comma, i contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva qualora una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite.
La clausola risolutiva in oggetto forma parte integrante del contratto e l’inadempimento in essa previsto risulta direttamente imputabile alla Sig.ra A (il mancato azzeramento dei debiti entro l’approvazione del bilancio 2004). E’ necessario specificare, inoltre, che l’entità dell’inadempimento prescinde dalla gravità dello stesso. L’art. 1455, infatti, non trova applicazione perché , in caso di clausola risolutiva, il giudizio circa la scarsa o meno importanza dell’adempimento è precluso dall’esistenza di un accordo al riguardo tra i contraenti, cosicché la risoluzione ed i relativi effetti – la restituzione delle somme versate – si ricollega e discende direttamente dal regolamento contrattuale (Cfr. Cass. n. 10102 del 1994 e Cass. n. 145 del 1995).
L’unica questione che sul punto si poteva determinare era sulla colpevolezza sotto il profilo della imputabilità dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1218 c.c. (sul punto il Tribunale richiama la Sentenza Cass. Civ. sez. III 06 febbraio 2007, n. 1553).
La risoluzione non opera automaticamente in conseguenza del mancato adempimento, ma è necessario che la parte interessata dichiari all’altra che intende avvalersi della clausola risolutiva (art. 1456 II comma c.c.).
L’interpretazione secondo lo schema della Condizione risolutiva
L’analisi della fattispecie contrattuale deve, inevitabilmente, prendere le mosse dall’esame del tenore letterale di quanto pattuito all’interno del contratto, concordemente sottoscritto dalle parti:
“La Sig.ra A dichiara, che il Sig. B non dovrà rispondere né di eventuali debiti societari, che saranno dalla stessa azzerati prima dell’approvazione del bilancio 2004, né parteciperà ai crediti societari ad oggi maturati che rimarranno di sua esclusiva pertinenza.
La presente scrittura privata, impegna entrambe le parti al rispetto di quanto convenuto nel presente atto e, in forza del presente accordo, qualora o per motivi non imputabili ad entrambe le parti o in caso di riscontri non veritieri a quanto sopra convenuto, le somme che il Sig. B si obbliga a versare alla Sig.ra A, saranno dalla stessa restituite al Sig. B comprensive di interessi legali e nella stessa modalità e tempi di come sono state percepite”.
La prima parte della clausola – “La Sig.ra A dichiara, che il Sig. B non dovrà rispondere né di eventuali debiti societari, che saranno dalla stessa azzerati prima dell’approvazione del bilancio 2004 (…)” – identifica chiaramente l’onere imposto ad una delle parti del contratto e al contempo l’evento futuro a partire dal quale si riconducono gli effetti del contratto stesso.
La seconda parte della clausola in esame – “(…) qualora o per motivi non imputabili ad entrambe le parti o in caso di riscontri non veritieri a quanto sopra convenuto, le somme che il Sig. B si obbliga a versare alla Sig.ra A, saranno dalla stessa restituite al Sig. B (…)”- segna le conseguenze contrattuali inerenti al verificarsi della condizione sopra identificata.
In tema di condizione risolutiva, così come statuito dalla giurisprudenza della Suprema Corte (ex plurimis: Cassazione Civile, sez. II, 15 novembre 2006, n. 24299, Cassazione Civile, sez. II, 24 novembre 2003, n. 17859), viene riconosciuto che le parti, nell’ambito dell’autonomia privata, possono ricondurre all’adempimento o all’inadempimento quale evento condizionante l’efficacia del contratto sia in senso sospensivo, che in senso risolutivo. Tale previsione, ovvero la previsione che fa dipendere dal comportamento della parte l’effetto risolutivo del negozio, non configura una illegittima condizione meramente potestativa. E’ da evidenziare che, in tali circostanze, l’inadempimento, lungi dal risolversi esclusivamente a favore della parte inadempiente, legittima la controparte del negozio a richiedere l’applicazione di quanto convenuto: nella specie la restituzione delle somme versate.
In tal senso, pur rimanendo la condizione ben distinta dalla prestazione, il concreto adempimento di una delle parti è stato concordemente dedotto quale condizione la cui esecuzione della prestazione costituisce non solo l’oggetto di un obbligo concordemente assunto, ma anche l’evento condizionante l’efficacia della pattuizione (Cfr. Cass. 10 ottobre 1975, n. 3229).
Pertanto, nessuna incompatibilità di principio può sussistere tra condizione ed esecuzione di una prestazione essenziale, potendosi considerare ammissibile la deducibilità della prestazione quale evento condizionante (sul punto la giurisprudenza si è avvalsa richiamando l’art. 1322 c.c.: cfr. Cass. 8 agosto 1990 n. 8051).
Tale ricostruzione è sicuramente più ardua in tema di diritto, ma non è del tutto da scartare considerata anche la giurisprudenza richiamata.