Tribunale di Palermo, Sentenze 696/2008 e 820/2008. Intermediazione mobiliare: strumenti finanziari, bond Parmalat e Cirio. Responsabilità contrattuale o precontrattuale?

Il Tribunale di Palermo con le Sentenze 696/2008 del 13/02/2008; e 820/2008 del 18/02/2008 torna ad occuparsi rispettivamente dei casi Parmalat e Cirio, con riferimento alla responsabilità dell’ente intermediatore (in questo caso la Banca) per la collocazione dei suddetti titoli.

Le due sentenze sopra evidenziate pervengono a conclusioni diverse seguendo, tuttavia, il medesimo ragionamento, ciò a dimostrazione, se è possibile ancora una volta, che ogni causa è una storia a sé stante, ma anche e soprattutto l’analisi delle due sentenze evidenzia come sulla materia vi sia ancora molto da dire.

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Se nella Sentenza 696/08 il Tribunale accoglie le doglianze della parte attrice che nei propri atti richiedeva la nullità, l’annullamento ovvero la risoluzione del contratto, oltre che il danno esistenziale ed i danni ultronei, nella Sentenza 820/2008 il Tribunale respinge le domande di parte attrice.
Nel prosieguo dell’articolo analizzeremo brevemente i punti di contatto fra le due sopra citate sentenze:

  • Abbandonata definitivamente la tesi della nullità del negozio giuridico
  • Responsabilità contrattuale o precontrattuale?
  • La quantificazione del danno in caso di responsabilità precontrattuale in tema di collocamento di strumenti finanziari

Abbandonata definitivamente le tesi della nullità del negozio giuridico in caso di inosservanza degli obblighi informativi

In entrambe le Sentenze il Collegio giudicante:

Rigetta le domande di nullità/annulabilità per violazione da parte della banca e del promotore di norme di comportamento previste dal T.U.F., ovvero quelle norme che, genericamente e complessivamente considerate, impongono una corretta informativa preventiva da fornirsi al cliente, una valutazione obiettiva e subiettiva del rischio cui lo stesso va incontro nell’acquisto di strumenti finanziari ed un comportamento successivo all’acquisto.

In particolar modo, ad esempio proprio nella Sentenza del Tribunale di Palermo 696/08, avente ad oggetto i bond Parmalat, il Tribunale evidenziava:

“Dalla qualificazione in termini di norma imperativa di legge dei precetti comportamentali che sovrintendono all’operato degli intermediari finanziari discenderebbe, ai sensi dell’art. 1418 c.c. commi I e III, l’affermazione di nullità degli atti negoziali conclusi in loro dispregio; e da tali orientamenti giurisprudenziali discende la domanda di nullità proposta dall’attrice.
Il Tribunale ritiene di non (più) condividere l’interpretazione appena richiamata. (…) La nullità del contratto per norme imperative, ai sensi dell’art. 1418 c.c. comma I, postula che siffatta violazione attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziali, cioè relativi alla struttura o al contenuto del contratto, e quindi l’illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative per la formazione del contratto, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista anche in riferimento in detta ipotesi. (…) Di conseguenza non può sanzionarsi con la nullità il negozio ove risulti inosservato l’obbligo informativo perché l’informazione non assurge a requisito dell’atto a pena di nullità (…).”

Tale concetto è perfettamente coincidente a quanto espresso nella Sentenza 820/2008, avente ad oggetto i bond Cirio:

“(…) La violazione di tali obblighi comportamentali non determina tuttavia la nullità dell’operazione eseguita, rimedio invocato in prima battuta dagli attori.
Dalla qualificazione in termini di norma imperativa dei precetti comportamentali che sovraintendono l’operato degli intermediari finanziari (funzionali alla preservazione di interessi pubblicistici, anche di rango costituzionale -art. 47 Cost. – identificabili nella tutela dei risparmiatori uti singoli, del risparmio pubblico, come elemento di valore dell’economia nazionale, dell’efficienza del mercato dei valori mobiliari, con vantaggi per le imprese e per la economia pubblica), non discende, infatti, in via automatica, ai sensi dell’art. 1418 comma I e III, c.c., l’affermazione di nullità virtuale degli atti conclusi in loro dispregio.
Quantunque i giudici di merito, ed in un’occasione questo Tribunale, abbiano talora accordato il rimedio della nullità, La Suprema Corte ha di recente manifestato di reputare corretta unicamente la soluzione dei rimedi risarcitori e risolutori”.

Sembra, pertanto, definitivamente tramontata la teoria della nullità dei contratti in tema di intermediazione mobiliare allorquando l’intermediatore, presumibilmente, non abbia ottemperato alle regole previste dala T.U.F. e dal Regolamento Consob 11522/98.

Tale impostazione era stata enucleata per la prima volta con una illuminante sentenza della Suprema Corte, la n. 19024 del 2005, poi ribadita dai giudici del Tribunale di Novara con due sentenze, la n. 14 del 10 gennaio 2006 e la n. 277 del 6 febbraio 2006 (che lo scrivente ritiene particolarmente significative), e, successivamente, anche dal Tribunale di Palermo con la sentenza 2555/06.
L’importanza della Sentenza della Suprema Corte, sopra citata, va tuttavia, anche oltre la tematica della nullità del negozio.

Responsabilità Contrattuale o precontrattuale?

Su tale tematica vogliamo iniziare citando proprio la Sentenza della Suprema Corte n. 19024 del 2005:

L’assunto su cui si fonda la sentenza impugnata è che tali regole attengono alla fase delle trattative precontrattuali e che, pertanto, la loro inosservanza non può determinare la nullità del contratto, pur non essendo revocabile in dubbio che esse abbiano carattere imperativo (retro, p. 3).
L’affermazione è corretta.
La “contrarietà” a norme imperative, considerata dall’art. 1418, primo comma, c.c., quale “causa di nullità” del contratto, postula, infatti, che essa attenga ad elementi “intrinseci” della fattispecie negoziale, che riguardino, cioè, la struttura o il contenuto del contratto (art. 1418, secondo comma, c.c.) I comportamenti tenuti dalle parti nel corso delle trattative o durante l’esecuzione del contratto rimangono estranei alla fattispecie negoziale e s’intende, allora, che la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del contratto (Cass. 9 gennaio 2004, n. 111); (…)

Nè potrebbe sostenersi che l’inosservanza degli obblighi informativi sanciti dal citato art. 6, impedendo al cliente di esprimere un consenso “libero e consapevole” avrebbe reso il contratto nullo sotto altro profilo, per la mancanza di uno dei requisiti “essenziali” (anzi di quello fondamentale) previsti dall’art. 1325 c.c. Invero, le informazioni che debbono essere preventivamente fornite dall’intermediario, a norma del citato art. 6, non riguardano direttamente la natura e l’oggetto del contratto, ma (soltanto) elementi utili per valutare la convenienza dell’operazione e non sono quindi idonee ad integrare l’ipotesi della mancanza di consenso. 6.2 – Del resto, contrariamente a quel che mostra di ritenere il ricorrente, non è affatto vero che, in caso di violazione delle norme che impongono alle parti comportarsi secondo buona fede nel corso delle trattative e nella formazione del contratto, la parte danneggiata, quando il contratto sia stato validamente concluso, non avrebbe alcuna possibilità di ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Si è però ormai chiarito che l’ambito di rilevanza della regola posta dall’art. 1337 c.c. va ben oltre l’ipotesi della rottura ingiustificata delle trattative e assume il valore di una clausola generale, il cui contenuto non può essere predeterminato in maniera precisa, ma certamente implica il dovere di trattare in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o anche solo reticenti e fornendo alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o anche solo conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. L’esame delle norme positivamente dettate dal legislatore pone in evidenza che la violazione di tale regola di comportamento assume rilievo non solo nel caso di rottura ingiustificata delle trattative (e, quindi, di mancata conclusione del contratto) o di conclusione di un contratto invalido o comunque inefficace (artt. 1338, 1398 c.c.), ma anche quando il contratto posto in essere sia valido, e tuttavia pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto (1440 c.c.).

Scarica la Sentenza della Corte di Cassazione n. 19024 del 2005

Sul punto, peraltro, è intervenuta di recente la stessa Cassazione a Sezioni Unite, con le sentenze del 19/12/2007, n. 26724 e n. 26725 (di cui abbiamo già parlato in questo articolo), dove è stato chiarito che la violazione degli obblighi di informazione può dar luogo a responsabilità precontrattuale con conseguente obbligo al risarcimento dei danni, ove quest’ultimi avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d’intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti.
Si tratterà di responsabilità contrattuale, (risoluzione del contratto), quando si tratta di violazioni riguardanti le operazioni d’investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto.

Viene, quindi, posta una chiara distinzione tra le norme di comportamento dei contraenti e le norme di validità del contratto.
L’ipotesi di violazione delle prime (norme di comportamento dei contraenti), sia nella fase prenegoziale, che nel corso del rapporto, se non stabilito altrimenti dalla legge, produce responsabilità e può essere causa di risoluzione del contratto se è motivo afferente al non corretto adempimento del dovere di protezione e degli obblighi di prestazione gravanti sul contraente. In alcun modo può dirsi che tale situazione incida sulla genesi dell’atto negoziale (ed in tal senso non può causare la nullità).
In tal senso, non si può sostenere che l’interesse alla correttezza del comportamento degli intermediari finanziari abbia una particolare rilevanza al fine di garantire il buon funzionamento dell’intero mercato, e, quindi, che la violazione dei doveri comportamentali dell’intermediario, nella fase delle trattative del rapporto, possa riflettersi sulla validità genetica del contratto stipulato con il cliente.

Nelle sentenze del Tribunale di Palermo, tuttavia, abbandonata quindi la tesi della nullità, si continua a far riferimento alla responsabilità contrattuale dell’intermediatore finanziario.
Nella Sentenza 696/08, avente ad oggetto i bond Parmalat, si giunge a condannare l’istituto di credito per carenti informazioni sul titolo, mentre nella Sentenza 820/2008, avente ad oggetto i bond Cirio, invece, è stata pienamente riconosciuta la correttezza dell’operato della banca intermediatrice.

Alla luce di quanto sopra evidenziato, non si può rilevare che entrambe le sentenze si discostano dalle più recenti pronunce della Suprema Corte.
Ed in tal senso non si può non evidenziare che, nel caso in cui nell’atto introduttivo non venga espressamente inserita la richiesta di risarcimento nascente da responsabilità precontrattuale, secondo il principio che lega indissolubilmente il chiesto ed il pronunciato, nessuna condanna può essere, eventualmente, inflitta (in caso di accertamento della carente informativa) al soggetto intermediatore.

La quantificazione del danno in caso di responsabilità precontrattuale in tema di collocamento di strumenti finanziari

Citiamo ancora una volta la Sentenza della Suprema Corte n. 19024 del 2005, anche per evidenziare il metodo di quantificazione del danno nascente da responsabilità precontrattuale in situazioni come quelle sopra evidenziate quantum debeatur:

“6.3 – Si afferma comunemente che il risarcimento, in caso di responsabilità precontrattuale, è limitato al c.d. “interesse negativo” e deve, pertanto, essere commisurato alle spese sostenute per le trattative rivelatesi poi mutili e alle perdite subite per non usufruito di occasioni alternative di affari, non coltivate per l’affidamento nella positiva conclusione del contratto per il quale le trattative erano state avviate (in tal senso, tra le altre: Cass. 30 luglio 2004, n. 14539; 14 febbraio 2000, n. 1632; 30 agosto 1995, n. 9157; 26 ottobre 1994, n. 8778; 12 marzo 1993, n. 2973). È tuttavia evidente che, quando, come nell’ipotesi prefigurata dall’art. 1440 c.c., il danno derivi da un contratto valido ed efficace ma “sconveniente”, il risarcimento, pur non potendo essere commisurato al pregiudizio derivante dalla mancata esecuzione del contratto posto in essere (il c.d. interesse positivo), non può neppure essere determinato, come nelle ipotesi appena considerate, avendo riguardo all’interesse della parte vittima del comportamento doloso (o, comunque, non conforme a buona fede) a non essere coinvolta nelle trattative, per la decisiva ragione che, in questo caso, il contratto è stato validamente concluso, sia pure a condizioni diverse da quelle alle quali esso sarebbe stato stipulato senza l’interferenza del comportamento scorretto. Il risarcimento, in detta ipotesi, deve essere ragguagliato al “minor vantaggio o al maggiore aggravio economico” determinato dal contegno sleale di una delle parti (Cass. 11 luglio 1976, n. 2840; 16 agosto 1990, n. 8318), salvo la prova di ulteriori danni che risultino collegati a tale comportamento “da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto” (Cass. 29 marzo 1999, n. 2956).
Non vi è quindi motivo di ritenere che la conclusione di un contratto valido ed efficace sia di ostacolo alla proposizione di un’azione risarcitoria fondata sulla violazione della regola posta dall’art. 1337 c.c. o di obblighi più specifici riconducibili a detta disposizione, sempre che, s’intende, il danno trovi il suo fondamento (non già nell’inadempimento un’obbligazione derivante dal contratto, ma) nella violazione di obblighi relativi”.

Risulta, quindi, evidente la necessità di una corretta qualificazione giuridica delle fattispecie come quelle sopra evidenziate, anche al fine di poter esattamente commisurare e quantificare i danni.

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